Il ritorno di Teresa ‘la piccina’ a Ravenna e l’addio di Byron

Dopo il trasferimento a Pisa dove già i Gamba erano alloggiati, inizia la fase decadente della vita di Byron non solo dal punto di vista sentimentale e relazionale con Teresa, ma anche dal punto di vista poetico. Fattori che lo portano a partire per la Grecia

Dopo il trasferimento a Pisa dove già i Gamba erano alloggiati, inizia la fase decadente della vita di Byron non solo dal punto di vista sentimentale e relazionale con Teresa, ma anche dal punto di vista poetico. La vena byroniana comincia a intiepidirsi e a scadere in toni troppo sarcastici.

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La decadenza di Byron

Byron era profondamente cambiato nello spirito e nel corpo come attestano le parole di Leigh Hunt invitato da Shelley in Italia insieme alla moglie. Nel giugno del 1822 il poeta per gli scandali provocati a Pisa aveva scelto come dimora Montenero, un quartiere collinare di Livorno e qui Hunt si recò per fargli visita e capitò in mezzo ad un litigio fra servitori, il cocchiere di Byron e il cuoco di Gamba e lo stesso Pietro Gamba aveva ricevuto una coltellata da un domestico.

Per un inglese la scena era più che insolita ma più insolita fu la vista del padrone di casa: al posto di quel “giovane riccio, muscoloso e pieno di energia che Hunt aveva visto nel 1816, gli si presentò un uomo grassoccio, con i cappelli ingrigiti”. Il suo abito suggeriva una vita di ozio e di languore. Il rapporto fra Hunt e Byron si deteriorò dopo la morte per naufragio di Shelley e l’inimicizia non si ricompose più.

Shelley si era trasferito a Lerici a Villa Magni e si era fatto costruire una barca ribattezzata “Ariel” da Daniel Roberts, ex ufficiale della marina e nella sua volontà di risolvere “il mistero” era affondato nonostante l’offerta di soccorso da parte di una nave diretta a Livorno. Sulla sua pelle Shelley aveva risolto il “grande mistero” ed è incerto se fu volontariamente per azzardata avventatezza o semplice incapacità di governare le vele.

Byron era ormai dominato dalle immagini del passato e della sua giovinezza nei due anni trascorsi nelle terre del Mediterraneo nella massima libertà e trascuratezza. Proprio quando la Grecia stava liberandosi dal giogo straniero, anche il poeta voleva sottrarsi al giogo di una vita inutile: la causa italiana era irrimediabilmente compromessa, il rapporto con Teresa era di pura amicizia e la compagnia dei Gamba cominciava ad essere oppressiva. Cercava un varco per terminare la spirale di decadenza della sua mente e del suo corpo.

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La partenza per la Grecia

Nell’autunno del 1822 Byron con Teresa si trasferì ad Albaro in cima ad una collina che sovrasta Genova presso Casa Saluzzo e questa tappa del loro “esilio” fu la consapevolezza per il poeta che la sua stella era tramontata e che occorreva dare nuova energia al mito byroniano. Teresa apparteneva ormai al passato.

L’amico di studi Hobhouse, che faceva parte del Comitato, un’associazione di nobili  inglesi che si prodigavano per l’indipendenza ellenica, voleva farlo partire al più presto per Corfù, dove avrebbe preso contatto con i patrioti.

Nel frattempo, Blaquière, membro del Comitato, e il greco Luriottis avevano fatto visita a Byron nella villa di Saluzzo. Nel maggio del 1823 Byron fu votato membro del Comitato e non oppose alcuna resistenza se non la mancanza di mezzi per la partenza. Pietro Gamba lo avrebbe accompagnato. Confidò alla sua nuova amica Lady Blessington che sarebbe stato rischioso e che forse non sarebbe ritornato. Era come intrappolato in una morsa di impotenza, di abbandono al proprio destino. Si era reso conto che il Comitato gli aveva teso una trappola e che non potava tornare indietro.

La Grecia era in balia delle fazioni politiche e la sua funzione era quella di far pace fra i vari contendenti e già, convinta Teresa a tornare a Ravenna, si imbarcò sull’Ercole il 13 luglio con un piccolo seguito di amici, animali, armi e munizioni e soprattutto con 50.000  dollari spagnoli.

La morte

Nell’agosto del 1823, sbarcò a Cefalonia insieme a Pietro e all’amico Tralawny. Solo nel gennaio 1824 invitato dal patriota Alessandro Mavrocordato  si trasferì a Missolungi, dove morì il 19 aprile dello stesso anno di febbri reumatiche , forse causate da strumenti non sterilizzati per pratica di salasso.

Teresa avrebbe dovuto raggiungerlo e la sua ultima lettera alla contessa risale a circa un mese dalla morte: Teresa e Ravenna erano state la quiete, l’oblio, la dedizione alla causa italiana ma anche la fine del byronismo. L’ultimo viaggio volle essere un’offerta sacrificale al suo mito; Byron non volle appartenere a nessuno, solo a sé come metafora dell’eroe dove la poesia si umilia all’azione.

Il suo cuore fu sepolto a Missolungi e la sua salma fu rimpatriata e tumulata nella Chiesa di St. Mary Magdalene: un interminabile corteo di quarantasette carrozze listate a lutto ma vuote lo scortarono per l’ultima volta. La nobiltà inglese si vendicò di un mito che avrebbe infiammato le generazioni future e la cui nobiltà rivendicava l’unicità dell’esistere, uno snobismo eccentrico che ricercava l’autenticità irripetibile di ogni aspetto della realtà

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Di Maria Grazia Lenzi

Diplomatasi nel 1978 al Liceo Classico Dante Alighieri di Ravenna, si è laureata in Lingua e Letteratura Latina presso l’Ateneo bolognese nel 1985. Laureatasi anche in Lingue Moderne e Conservazione dei Beni culturali, oltre a inglese, francese e spagnolo, ha approfondito l’arabo con il corso triennale presso l’IsiAO, conseguendo il diploma nel 2009. Quasi contemporaneamente si è dedicata ad un corso di perfezionamento sull’organizzazione della città storica, del territorio e dei loro modelli di rappresentazione presso la Scuola Superiore di Bologna.

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