La Ravenna di Cesare e la ‘bellissima ingiustizia’

In una Ravenna che pullulava di spie pompeiane, Cesare agì d'astuzia e vagò per una notte nella Pianura Padana, per prendere la via Pompilia e arrivare al Rubicone

Suona più familiare “la Ravenna di Galla Placidia” “la Ravenna di Teodorico” o “la Ravenna di Dante”. La Ravenna di Cesare non è conosciuta ma senza la città di antica fondazione etrusca fu strategica nella conquista del potere del dittatore, come lo era stata per Mario, zio di Cesare, al cui fianco Ravenna si era schierata contro l’aristocratico Silla.

L’astuzia di Cesare e la bellissima ingiustizia

Dopo il suo consolato nel 60 a.C., Caio Giulio Cesare aveva preteso la Cisalpina, avamposto della capitale e al contempo vicina alla barbaries o, meglio, quanto creduta tale, trampolino di lancio per le grandiose conquiste e la familiarizzazione e la “cesarizzazione” dell’esercito. Dieci anni di militanza avevano legato indissolubilmente il comandante e il suo seguito: si era sviluppata una istituzione all’interno della istituzione romana; una sorta di alternativa al potere, con la propria meritocrazia, i propri slanci, la propria visione.

Cesare era cresciuto con il suo esercito come una cosa sola e la richiesta del Senato di congedare gli eserciti e presentarsi come cittadino semplice a Roma per la corsa al consolato era risultata inaccettabile sia per il generale sia per il suo esercito. Dice lo stesso Svetonio che aveva consultato le Historiae di Asinio Pollione che lo stesso Cesare traducendo le Fenicie di Euripide aveva formulato in modo chiaro il concetto ossimorico che bellissima è l’ingiustizia e la violenza che si potrebbe commettere per la presa del potere e che in ogni altro contesto conviene essere pietosi.

La scuola di gladiatori

Di fronte alla intransigenza del senato che aveva liquidato i tribuni che volevano intercedere per lui, Cesare agì d’astuzia secondo i dettami della celeberrima immagine della golpe e del lione: da Ravenna, dove si era acquartierato il 24 dicembre con la sua XIII legione in attesa della decisione finale mandò segretamente alcune coorti al Rubicone per non destare sospetti. Si fece vedere in città ad uno spettacolo pubblico nella giornata del 10 gennaio. Banchettò in compagnia come spesso aveva fatto durante gli inverni della sua campagna gallica e come era sua abitudine; visionò i progetti di una scuola di gladiatori che aveva intenzione di costruire per la salubrità dell’aria di Ravenna.  

E certamente il progetto fu completato come testimoniano alcuni titoli gladiatori di Classe di cui il più famoso è il myrmillus Antigono; generalmente quasi tutti gli appartenenti ai ludi gladiatorii erano schiavi della familia Cesaris; di qui l’ipotesi formulata da Tommaso Gnoli nel suo interessantissimo studio “C. Iulius Mygdoniu”s: un parto a Ravenna.

Ebbene Cesare volle, come ci dice Svetonio, questa scuola in vista di una sua leadership, per unire Roma con una città amica Ravenna, ultimo avamposto della Cisalpina, asse di connessione fra il passato in Galla e il suo futuro politico di Dittatore o persino di Re di Roma; Ravenna base dell’intrattenimento, di quel panis et circenses che sarebbe stata leva politica dell’Impero.

Una notte nella Pianura Padana

Al calare della tenebra, di nascosto poiché Ravenna pullulava di spie pompeiane, disse alla sua compagnia che si sarebbe assentato ma che avrebbe fatto ritorno subito: con pochi fedeli armati alla leggera fu trasportato in incognita su un carro di un mugnaio trainato da un mulo. Avrebbe potuto prendere la via Popilia per arrivare al Rubicone dove lo avevano preceduto le sue coorti, ma la via era pattugliata dagli avversari politici e scelse l’entroterra, le colline cesenati.

Probabilmente anche il percorso interno non era privo di imboscate e cambiò direzione attraversando prima il Bevano, poi il Savio attraverso la centuriazione fra Cervia e Cesena. Nel cuore della notte gelida della Pianura Padana, a torce spente, si perse e fu un abitante dei luoghi, all’alba grigia della  mattina del giorno 11 gennaio che indicò la strada per Ariminium  al grande Cesare, il raffinato letterato, il rude soldato, l’amatore indefesso, il grande stratega, il visionario ma anche fragilissimo  per la sua salute compromessa.

La drammatica notte prima della decisione di marciare contro Roma fu trascorsa fra umili personaggi, mugnai e contadini che misero in salvo la progenie di Enea, figlio dell’alma Venus, l’uomo della storia, leggenda dei popoli a venire, capostipite di tutti gli imperatori che ne portarono il nome fino alla caduta dell’impero russo nel 1917.

Leggi anche: La Ravenna di Marziale e l’oste disonesto

Maria Grazia Lenzi

Diplomatasi nel 1978 al Liceo Classico Dante Alighieri di Ravenna, si è laureata in Lingua e Letteratura Latina presso l’Ateneo bolognese nel 1985. Laureatasi anche in Lingue Moderne e Conservazione dei Beni culturali, oltre a inglese, francese e spagnolo, ha approfondito l’arabo con il corso triennale presso l’IsiAO, conseguendo il diploma nel 2009. Quasi contemporaneamente si è dedicata ad un corso di perfezionamento sull’organizzazione della città storica, del territorio e dei loro modelli di rappresentazione presso la Scuola Superiore di Bologna.

Dalla stessa categoria