Byron, l’antilope, la tigre e Teresa, la contessa sedicenne

Dissoluto, provocatore, è stato accusato di adulterio, omosessualità, sodomia e amore libero. Il poeta e le donne, dalla prima moglie, alle amanti, fino alla ravennate già sposata

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Lord Byron sapeva fare scandalo, provocatore e in lotta con l’establishment anglosassone di cui pure era parte, partì in esilio volontario, alla ricerca di nuove sensazioni ed esperienze, abilissimo a comprendere, ante litteram, i meccanismi e i risvolti del fenomeno mediatico. Ben prima del nazionale “voglio una vita spericolata e piena di guai “di Vasco Rossi, forgiò la moda dell’eroe byroniano e si definì in Don Juan ‘born for opposition‘.

La sua educazione sentimentale ed estetica passa attraverso un estenuante erotismo fatto di vita quotidiana, di esperienze di luoghi, pratiche, cultura ma soprattutto “tranches de vie” anticipando quasi una sorta di realismo emozionale e eccezionale.

Con le donne iniziò male se pensiamo alla moglie, la devota Isabella Millbank, ”la principessa dei parallelogrammi” da cui si separò dopo un anno di matrimonio e la nascita della piccola Ada. Ma era una ricca ereditiera e poteva servire a sanare i debiti del poeta che si erano accumulati insieme ai suoi amori dissoluti. Accusato di incesto con la sorellastra Augusta, di adulterio, omosessualità, sodomia e amore libero fu invitato a lasciare il suo posto alla Camera dei Lord. Con la “bufera” dietro di lui salpò nel 1816 per il continente toccando il Belgio e la Svizzera dove soggiornò a Ginevra e frequentò Claire Clairmont da cui ebbe la figlia Allegra che chiuderà in un monastero a Bagnacavallo e sarà con lui a Ravenna a Palazzo Guiccioli.

L’incontro con Teresa Gamba

Byron non era fatto per la calvinista Ginevra, aveva lascato alle spalle la puritana Inghilterra e immaginava di perdersi nell’esotico Sud europeo e nella città più libertaria di tutte, Venezia dove visse ben tre anni: “Venezia è sempre stata l’isola più verde della mia immaginazione. Non mi ha deluso, malgrado la sua evidente decadenza. Ma io sono troppo abituato alle rovine per non amare la desolazione”. Il fascino di Venezia e dell’Italia fu assaporato nella relazione con Marianna, moglie del mercante di Venezia presso cui alloggiò prima di trasferirsi a palazzo Mocenigo: “somiglia ad un’antilope….Ha occhi grandi, neri, orientali”.

Scrive frequentemente alla sorellastra Augusta e descrive della sua vita a Venezia: ha un palco alla Fenice, frequenta le feste, il Carnevale e conosce tutti i salotti, non ultimo quello della contessa Teotocchi Albrizzi, già ben nota al Foscolo. Proprio in questo salotto incontrò nell’aprile del 1819 Teresa Gamba, appena sedicenne, proprio il giorno del suo matrimonio con il Conte Giuccioli: “Mi sono innamorato di una contessa Romagnuola (così scrive in Italiano) di Ravenna e ho speranze – speranze – ma lei vuole che vada a Ravenna e poi a Bologna”. Sempre in questa lettera del 1819 a John Hobhouse parla di come le speranze non fossero sufficienti e non abbastanza per lui, occorrevano certezze perché se fosse stato piantato o avesse fatto fiasco (tale è l’espressione byrioniana “made a fiasco” ), avrebbe perduto la sua reputazione.

Byron con l’amico fa apprezzamenti non sempre simpatici sul Conte Guiccioli, ricco sfondato ma già cinquantenne e con due mogli e figli alle spalle, mentre Teresa, una bella ragazza bionda, uscita l’anno prima dal convento stava “facendo il secondo giro di Conversazioni a Venezia”.

L’arrivo a Ravenna

Byron era un po’ stanco di Venezia, l’aveva già vissuta e soprattutto doveva, anche su suggerimento dei medici disintossicarsi dai suoi stravizi e aveva appena licenziato la “tigre”, la pretenziosa Fornarina che aveva tentato anche il suicidio in Canal grande per ritornare a Palazzo Mocenigo.

Byron dice di Teresa: “È bella ma non ha tatto”, “risponde ad alta voce quando dovrebbe sussurrare”. Nelle sue memorie scritte in francese molti anni dopo Teresa non avrà che parole di amore e di ammirazione per il poeta: “era impossibile che non lasciasse in me una profonda impressione. Da quella sera, durante il mio intero soggiorno a Venezia, ci incontrammo ogni giorno”

Nel giugno del 1819 Byron arrivò a Ravenna con tutta la pompa e la grandiosità dell’equipaggiamento facendo un grande scalpore in ansia per la salute cagionevole di Teresa, reduce da un aborto e con i chiari segni della tubercolosi;  a settembre sarà  lei ad andare a Venezia e a trascorrere  qualche mese con lui a villa Mira, nella campagna veneziana. Il Conte Guiccioli avrebbe chiuso un occhio se Byron gli avesse concesso un prestito di mille sterline oppure procurato un consolato. Purtroppo, Byron non era di tale generosità e non aveva santi in Paradiso nella sua Albione e per questo rifiuto i rapporti fra il conte e la moglie si deteriorarono. Nel novembre del 1819 il conte Guiccioli andò a Venezia per riprendersi la moglie e Byron, come un padre amorevole, la persuase a ritornare a Ravenna dalla sua famiglia con la promessa che l’avrebbe raggiunta.

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Maria Grazia Lenzi

Diplomatasi nel 1978 al Liceo Classico Dante Alighieri di Ravenna, si è laureata in Lingua e Letteratura Latina presso l’Ateneo bolognese nel 1985. Laureatasi anche in Lingue Moderne e Conservazione dei Beni culturali, oltre a inglese, francese e spagnolo, ha approfondito l’arabo con il corso triennale presso l’IsiAO, conseguendo il diploma nel 2009. Quasi contemporaneamente si è dedicata ad un corso di perfezionamento sull’organizzazione della città storica, del territorio e dei loro modelli di rappresentazione presso la Scuola Superiore di Bologna.

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