Il granchio blu è oramai la specie aliena più nota del Mediterraneo. Nell’ultimo anno ha creato gravi problemi ad allevatori di vongole e pescatori dell’Alto Adriatico; per contrastare il granchio blu e la sua espansione, il Governo ha consigliato ai cittadini di mangiarlo e pescarlo. Ecco allora che è arrivato in pescheria, è diventato protagonista di pranzi tra amici, è diventato oggetto delle ricette di chef locali e chef stellati.
Tuttavia, nonostante il gran parlare, le cause dell’esplosione demografica del granchio blu non sono ancora chiare e questa potrebbe mettere a rischio la biodiversità e il tessuto commerciale, ma non è detto che duri. Da un lato, ci sono altri casi di specie aliene che avevano destato grande preoccupazione, poi rientrata, come la cosiddetta “alga assassina”; dall’altro, se si salvaguarda l’ecosistema costiero, i predatori naturali del granchio blu dovrebbero permettere di tornare a una situazione non emergenziale.
A spiegare la situazione è il Professor Massimo Ponti, ecologo, coordinatore del Corso di Laura Magistrale in Biologia Marina all’Università di Bologna e coordinatore del progetto europeo LIFE NatuReef. Il progetto è volto a realizzare scogliere naturali di ostriche per la protezione della costa e l’aumento della biodiversità alla foce del torrente Bevano, sulle coste di Ravenna. La presenza del granchio blu, però, potrebbe ostacolarne la buona riuscita.
«La situazione che si è manifestata quest’anno – spiega il prof. Ponti – di grande proliferazione del granchio blu dà una certa preoccupazione, soprattutto se dovesse durare anche in futuro. Le ostriche che noi metteremo in acqua nelle fasi iniziali del progetto dovrebbero essere di dimensioni tali da non essere aggredibili dai granchi blu. Tuttavia, quando si riprodurranno e faranno le “ostrichette giovani”, i granchi blu potrebbero farne man bassa, così come altri crostacei o pesci; in parte è naturale».
«I granchi blu – spiega Ponti – stanno facendo dei danni enormi, anche dal punto di vista commerciale, nella sacca di Goro, dove ci sono allevamenti di vongole. Le “vongoline”, quando vengono messe in acqua, hanno delle dimensioni abbastanza piccole e i granchi blu riescono a mangiarle in gran quantità fino a 1 cm di diametro. Se il granchio blu continua a essere così abbondante, non solo è a rischio il risultato del nostro progetto, ma sono a rischio tutti gli ecosistemi del Mar Adriatico».
«Le prime segnalazioni – racconta il Professor Ponti – del granchio blu nel Mediterraneo risalgono al 1948, ma fino al 2022/2023 non se n’era mai sentito parlare, perché non ha mai fatto grandi numeri. Questo perché c’erano predatori e le condizioni ambientali erano sfavorevoli. Nell’ultimo anno ha avuto un’esplosione demografica del tutto anomala. Le motivazioni non sono del tutto chiare: forse riduzione dei predatori, più un’estate molto calda, complici anche le grandi piogge di maggio con tutto ciò che hanno portato a mare. Probabilmente quest’anno l’ecosistema costiero si è un po’ sconvolto, ma non è detto che nei prossimi anni continui ad essere così».
«Il modo per evitare – spiega Ponti – che il granchio blu continui a essere abbondante è mantenere ecosistemi costieri sani. È uno sforzo da parte di tutti: amministrazioni, singoli cittadini, operatori del settore turistico e della pesca. Se riusciamo a salvaguardare il nostro mare, riusciamo a prevenire questi eventi o eventualmente a recuperare dopo».
«La pesca diretta del granchio blu – continua il professore – sicuramente può contribuire a tenere sotto controllo la popolazione, ma la cosa ancor più importante è che ci siano i suoi predatori naturali. Quando gli esemplari di granchio blu sono ancora giovani, i suoi predatori sono banalmente orate e branzini, ma se noi li peschiamo tutti non ci saranno più predatori. Se salvaguardiamo gli stock naturali di questi predatori, è l’ecosistema stesso che ci aiuta».
«La storia delle specie aliene – spiega Ponti – ci insegna che qualche volta si possono avere esplosioni demografiche che durano molti anni, ma altre volte no. C’è il caso emblematico della cosiddetta “alga assassina“».
La Caulerpa taxifolia è un’alga propria delle acque tropicali. La specie era presente nelle vasche tropicali dell’Acquario di Monaco a Montecarlo, ma il circuito di ricambio dell’acquario era direttamente collegato con il mare: l’acqua dell’acquario tornava nel mare.
A partire dal 1984, anno in cui era stata osservata nelle acque di fronte a Monaco, l’alga ha iniziato a riprodursi e si è iniziata pian piano a esplodere un po’ ovunque nel Mediterraneo, in Italia soprattutto in Sardegna. «C’era stata una grande preoccupazione – spiega Ponti -, si temeva che potesse stravolgere l’ecosistema marino; ma, dopo qualche anno, si è visto che in alcune parti si è insediata, ma poi è regredita».
Un esempio simile si è verificato pochi anni fa proprio nell’Adriatico, quando c’era stata l’esplosione di uno Ctenoforo (Mnemiopsis leidyi), simile a una medusa, chiamato anche “noce di mare”. È un organismo gelatinoso che mangia larve e uova di pesci; viene dall’Atlantico ed è tristemente famoso perché nel Mar Nero ha distrutto l’economia della pesca, mangiando interi banchi di pesci.
«Quando l’abbiamo visto arrivare – racconta il Prof. Ponti -, era abbondantissimo ovunque e sia pescatori sia scienziati si sono molto preoccupati. In realtà, l’anno successivo ce n’erano molti meno e poi ancora meno; insomma, i pescatori hanno continuato a pescare».
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