D’Acunto (Cestha) sul granchio blu: «I primi esemplari 10 anni fa, ma l’espansione è recente»

«Le tartarughe marine hanno iniziato a predarlo. Ma non è l’unica specie aliena. Abbiamo trovato anche un granchio dall’Indo-China che però muore d’inverno».

Simone d’Acunto al centro affiancato dai suo collaboratori del CESTHA – Centro Sperimentale per la Tutela degli Habitat
Simone d’Acunto al centro affiancato dai suo collaboratori del CESTHA – Centro Sperimentale per la Tutela degli Habitat

Il granchio blu è ormai una presenza stabile nel mare Adriatico. Individuato da diversi pescatori ed enti di ricerca già diversi anni fa, ha raggiunto un elevato livello di espansione causando, come ben si sa, non pochi danni ad altre specie e, più di recente, numerose polemiche che tengono banco nei mass media. Così, Più Notizie dedica al tema uno speciale che non può che partire dal racconto di un esperto come il biologo Simone D’Acunto, direttore del CESTHA – Centro Sperimentale per la Tutela degli Habitat, ente di ricerca di Marina di Ravenna con finalità di protezione ambientale, per saperne di più su questa “specie aliena” che infesta i nostri mari.

D’Acunto, com’è arrivato il granchio blu, fino al Mediterraneo e all’Adriatico?

«È difficile dirlo. Ci sono diverse teorie, la più accreditata è che sia arrivato con le imbarcazioni mercantili o attraverso le acque di Zavorra, ma ovviamente non possiamo escludere l’introduzione accidentale o voluta. Non si ha alcuna certezza».

Quando sono arrivati i primi esemplari di questo crostaceo?

«Sono circa 10 anni che riscontriamo lo loro presenza nelle acque ravennati, in particolare di taglie adulte, anche femmine con uova. C’è però un fenomeno inequivocabile: i numeri riscontrati nel corso di questi anni sono stati decisamente inferiori rispetto a quelli di quest’ultimo periodo. In pratica, è come se stessimo assistendo a una crescita esponenziale».

Da dove proviene questa specie?

«Il granchio blu è una specie aliena, ovvero non autoctona del Mediterraneo, nativa americana. È molto resistente, con un tasso riproduttivo di successo molto elevato e ha delle dimensioni notevoli, quindi non è facilmente catturabile dai predatori locali dei nostri mari».

L’ecosistema locale come reagisce all’ingressione di una specie aliena?

«L’ingressione di un animale in un ecosistema a cui non appartiene genera sempre uno squilibrio iniziale. Successivamente lo squilibrio può essere compensato da un adattamento della fauna locale o può progredire e diventare dannoso. Ovviamente si può fare una valutazione chiara solamente a lungo termine».

La pesca del granchio blu

Detto fuori dai denti: quanto è pericoloso il granchio blu per il nostro ecosistema?

«Ancora non possiamo dirlo con esattezza. Per le sue caratteristiche, è un probabile generatore di squilibrio. I predatori autoctoni devono imparare a conoscerlo e a capirlo: quindi, finché questo non avverrà, continuerà a espandersi. Inoltre è una specie abbastanza opportunistica perché si adatta facilmente ai nuovi habitat, questo la rende pericolosa perché potrebbe predare e mettere in difficoltà altre specie locali».

Le nuove normative che incentivano la pesca e la vendita del granchio blu, possono essere utili per risolvere il problema?

«Sicuramente praticare la pesca su questa specie ci dà la possibilità di esercitare la parte dei predatori, quindi è positivo. Noi ci occupiamo di questo tema da tanto tempo, abbiamo collaborato con chef e istituti alberghieri per far conoscere questo prodotto. La sua diffusione può essere utile ad allentare la pesca su specie più a rischio, spostando l’attenzione su questa massiccia presenza aliena che a rischio non è. È importante stimolare la filiera d’acquisto come ristoratori, grossisti e punti vendita a proporre molto di più il prodotto per incrementare la domanda e di conseguenza far crescere l’offerta».

Il granchio blu durante gli studi al Cestha

Ci sono altre possibili soluzioni?

«Da parte nostra stiamo cercando prima di tutto di comprendere i cicli riproduttivi dell’animale che ha anche delle piccole migrazioni di habitat. Conoscere meglio il suo comportamento favorirebbe catture mirate, magari recuperando principalmente gli esemplari femminili. Il secondo passo consisterà nel capire come si stanno adattando le specie autoctone».

Avete notato qualche adattamento in particolare?

«Sì, le tartarughe marine, che fanno parte della classe dei predatori dell’Adriatico, hanno iniziato a predare il granchio blu. Bisognerebbe stimolare l’attività di tutela e protezione dei predatori autoctoni proprio per avere il contrasto naturale di questo animale».

Sono molte le specie non autoctone che potrebbero essere pericolose per il nostro ecosistema?

«In realtà non è sempre detto che le specie aliene generino un problema, può capitare che si instaurino in una linea ecologica senza creare troppi squilibri. Noi di specie aliene ne abbiamo individuate parecchie. Con il cambiamento climatico ci troveremo sempre più a confrontarci con nuovi esemplari, gli habitat cambiano e di conseguenza gli animali colonizzano nuovi territori».

Qualche altro esemplare individuato?

«C’è un altro granchio che arriva dall’Indo-China, ma soffre molto il freddo quindi la sua espansione non è considerata un problema perché in inverno non riesce a sopravvivere. Al momento è stato trovato una volta nel porto di Ancona e un paio di volte, direttamente da noi, a Marina di Ravenna. Ma ci sono anche piccoli molluschi e pesci, non solo granchi».

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