LIFE NatuReef: scogliere naturali di ostriche per proteggere le coste

Finanziato dall'Unione Europea, il progetto alla Foce del Bevano vede coinvolta una sessantina di esperti. Prof. Ponti (Unibo): «L'opera verrà realizzata nel prossimo inverno, tra 2024 e 2025. Sono in corso i primi rilievi oceanografici, biologici e geologici».

LIFE NatuReef

È stato avviato sulle coste di Ravenna il progetto europeo LIFE NatuReef, volto a realizzare scogliere naturali di ostriche e sabellarie per la protezione della costa e l’aumento della biodiversità alla foce del torrente Bevano.

Il progetto LIFE NatuReef: proteggere le coste ripristinando ambienti naturali, non più con barriere artificiali

«Si tratta di un progetto pilota – spiega il professor Massimo Ponti dell’Università di Bologna, ecologo e coordinatore del progetto – per il ripristino delle antiche scogliere di ostriche e sabellarie. L’idea è essere di esempio per un cambio di paradigma: proteggere le coste ripristinando gli ambienti naturali, non più creando barriere artificiali al mare».

Banchi naturali di ostriche lungo le nostre coste sono descritti dal militare e scienziato bolognese Luigi Ferdinando Marsili in un manoscritto del 1715. Le sabellarie sono piccoli policheti che aggregano la sabbia: qualche reef di sabellarie è ancora presente nel Mediterraneo, mentre quelli di ostriche autoctone sono oramai scomparsi. Dunque, si reintrodurranno le specie autoctone in un tratto costiero non urbanizzato della costa dell’Alto Adriatico, cioè nel sito protetto della Foce del Torrente Bevano, parte del Parco del Delta del Po.

LIFE NatuReef
Professor Massimo Ponti, coordinatore del progetto LIFE NatuReef

«L’obiettivo è duplice – spiega il professor Ponti -. Il primo è ricreare gli habitat che esistevano e ora non esistono più, favorendo la biodiversità e la riproduzione di specie che possono essere anche, se vogliamo, di interesse commerciale in futuro. Il secondo è far sì che queste “biocostruzioni” marine, quando si troveranno lungo la fascia costiera, fungano da barriera naturale contro le mareggiate e gli effetti delle mareggiate. Quindi contrasteranno l’erosione costiera, nonché la perdita di spiagge e dune. Abbiamo scelto di fare questa sperimentazione in un’area ben preservata dall’intervento umano, come la foce del torrente Bevano che, però, purtroppo è fortemente soggetta a erosione e perdita di biodiversità».

Le due specie creano strutture tridimensionali ricche di nicchie ecologiche che consentono un’elevata biodiversità e un habitat adatto alla riproduzione di molte specie. Tra i servizi ecosistemici che possono fornire ci sono anche il miglioramento della qualità dell’acqua, grazie all’azione filtrante, e il sequestro dell’anidride carbonica, grazie alla formazione dei gusci calcarei.

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Lo stato di avanzamento: sono in corso i primi rilievi, l’opera verrà posata il prossimo inverno

Il progetto, finanziato dall’Unione Europea e della durata di 4 anni, è stato presentato a settembre di quest’anno. A luglio erano iniziate le pratiche amministrative, poi, a settembre, sono iniziate le fasi operative. «In questa prima fase – continua il professor Pontistiamo effettuando i rilievi oceanografici, biologici e geologici per arrivare a una progettazione definitiva del reef. Questa dovrà essere sottoposta, tra inverno e primavera, a una valutazione di impatto ambientale».

«L’opera verrà realizzata nel prossimo inverno – spiega Ponti -, cioè tra 2024 e 2025. Parlo di opera perché, per realizzare la base su cui si possono insediare le ostriche, è necessario creare l’habitat su cui possano attecchire. In Nord Europa si utilizzano letti di gusci, ma in Italia questo è vietato, perché i gusci (ndr. le conchiglie) sono considerati rifiuti speciali. L’alternativa dunque è quella di usare pietrisco calcareo, che è fatto della stessa sostanza dei gusci. Su questo metteremo delle ostriche pronte per la riproduzione, cosicché possano colonizzare l’area. È un piccolo progetto sperimentale: il reef sarà lungo poco più di 200 metri con una larghezza di circa 20-25 metri. Verrà posizionato in un punto strategico per contrastare l’erosione costiera».

Possibili criticità: il granchio blu

Una possibile criticità per il progetto è la presenza del granchio blu. Se dovesse continuare ad essere presente nell’Alto Adriatico con una popolazione così elevata, potrebbe mettere a rischio l’attecchimento delle ostriche.

«La situazione che si è manifestata quest’anno – spiega il coordinatore del progetto, professor Ponti – di grande proliferazione del granchio blu dà una certa preoccupazione, soprattutto se dovesse durare anche nei prossimi anni. Le ostriche che noi metteremo in acqua nelle fasi iniziali dovrebbero essere di dimensioni tali da non essere aggredibili dai granchi blu. Tuttavia, quando si riprodurranno e faranno le “ostrichette giovani”, i granchi blu potrebbero farne man bassa, così come altri crostacei o pesci; in parte è naturale».

«Non è detto – continua -, però, che l’ingente presenza del granchio blu continui nei prossimi anni. È dal 1948 che la specie aliena è presente nel Mediterraneo, ma solo nell’ultimo anno ha avuto un’esplosione demografica del tutto anomala. Le motivazioni non sono del tutto chiare: forse riduzione dei predatori, più un’estate molto calda, complici anche le grandi piogge di maggio con tutto ciò che hanno portato a mare. Non è detto che il granchio blu continui a proliferare, già altre specie aliene avevano destato grande preoccupazione, ma poi l’emergenza è rientrata».

Il team di LIFE NatuReef

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«Nello staff siamo una sessantina di persone – aggiunge il professor Ponti -, contando anche gli addetti alla comunicazione e i project manager; poi a questi si aggiungono tutti gli amministrativi che supportano il progetto. Dal punto di vista scientifico il team conta una quarantina di persone e stiamo cercando giovani ricercatori che incrementeranno le fila. Le competenze sono estremamente diversificate: lato biologia abbiamo ecologi, botanici marini e terrestri, zoologi. Poi ci sono geologi esperti in sedimentologia e dinamica costiera. Poi c’è il dipartimento di Ingegneria, capitanato dalla professoressa Renata Archetti, che ha schierato ingegneri idraulici e topografi che lavorano insieme agli oceanografi».

Dunque, il progetto vede impegnati insieme i due dipartimenti dell’Università di Bologna (BiGeA e DICAM), il Comune di Ravenna, il Parco del Delta del Po, nonché la società Proambiente, spin-off del Centro Nazionale delle Ricerche. Alla Fondazione Flaminia, con il suo Centro per l’Innovazione CIFLA e il Tecnopolo di Ravenna, è affidato il compito di comunicazione e raccordo con il tessuto sociale e produttivo del territorio. Durante tutto il progetto gli habitat sono sorvegliati, anche con il coinvolgimento della cittadinanza e il supporto dell’associazione Reef Check Italia ETS.


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