Alessandro Iannucci: «Con lo storytelling, musei e monumenti sono fruibili a tutti»

Il FrameLAB – Multimedia & Digital Storytelling è il laboratorio multimediale del Dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Bologna - Campus di Ravenna. Un luogo di sperimentazione e ricerca sulla comunicazione, in tutte le sue forme.

Come prende vita un museo? Cosa si nasconde fra pannelli, audioguide, video ricostruttivi e riproduzioni 3D di antichi palazzi e monumenti? Ce lo racconta il professor Alessandro Iannucci, direttore del FrameLAB – Multimedia & Digital Storytelling, il laboratorio multimediale del Dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Bologna – Campus di Ravenna. Lo scopo primario del laboratorio è lo sviluppo di metodologie innovative per la narrazione del patrimonio culturale a tutta la comunità.

Professor Iannucci, come nasce il FrameLAB?

«Il laboratorio nasce nel 2013 dall’unione di un gruppo di ricercatori in ambito umanistico con competenze digitali. L’idea di partenza era quella di mettere in pratica un nuovo tipo di ricerca, non rivolta unicamente a un gruppo di specialisti ma a tutta la comunità, concentrata su nuove tecniche di comunicazione. Il nostro non si lega a uno specifico settore di ricerca tradizionale, ma a più campi del sapere, rendendoli fruibili in modo efficace al pubblico». 

In che modo?

«Attraverso lo storytelling, una tecnica comunicativa che utilizza l’arte della narrazione per veicolare dei messaggi. Siamo infatti convinti che attraverso le diverse forme di racconto sia possibile trasmettere conoscenze su vari campi del sapere». 

A cosa state lavorando in questo momento?

«A progetti legati al territorio. Abbiamo concluso una prima parte del progetto narrativo del Palazzo Milzetti di Faenza, realizzando un percorso di visita con audio fruibili attraverso QR Code. Al pian terreno la voce narrante è quella di Felice Giani, l’artista che si è occupato delle decorazioni pittoriche; al piano nobile a parlare è la voce del conte Milzetti, il proprietario, che racconta in prima persona la storia e le opere del palazzo ma anche la sua vita».

Cosa sta alla base di queste narrazioni?

«Ovviamente un’ampia ricerca di archivio che ci ha dato la possibilità di recuperare informazioni su Milzetti e sulla sua dimora. Questi racconti ‘romanzeschi’, eppure basati su un’attenta analisi delle fonti, favoriscono l’immedesimazione del pubblico, alimentando l’ascolto empatico e allo stesso tempo trasmettendo conoscenza». 

Come procederà il progetto?

«Nella seconda fase amplieremo gli strumenti comunicativi. Sempre attraverso l’ausilio dei Qr Code, renderemo fruibili dei video in LIS, per rendere accessibile la narrazione ai non udenti. Stiamo sviluppando un nuovo concept grafico, adattando la cartellonistica ai criteri di leggibilità per i lettori ipovedenti. Per ampliare invece l’esperienza del pubblico non vedente, oltre agli audio già disponibili, stiamo riproducendo alcune opere e una mappa con stampa 3D per offrire un’esperienza tattile». 

Quali altri progetti state portando avanti al momento?

«Ci stiamo occupando del progetto “A cielo aperto” finanziato dalla Regione e legato alla restituzione digitale della Rocca di Riolo. L’obiettivo è quello di restituire la Rocca nella sua dimensione originaria e renderla fruibile attraverso la realtà virtuale e la realtà aumentata. Il primo dicembre saremo a Udine, a presentare un altro lavoro di restituzione digitale dedicato al Duomo».

Siete coinvolti anche in qualche progetto del PNRR?

«Sì, stiamo sviluppando un progetto sui “Digital Twin”, ovvero il doppio digitale, dedicato alla mostra tenutasi a Palazzo Poggi su Ulisse Aldrovandi. Abbiamo acquisito digitalmente gli oggetti che erano presenti alla mostra: elaboreremo un percorso di visita virtuale, rendendo una mostra temporanea permanente grazie alle tecnologie digitali».  

Quanti membri conta il suo team?

«Il team è mobile, le persone fisse sono due, io e il tecnico di laboratorio Simone Zambruno. Al momento siamo una decina, fra dottorandi, borsisti e assegnisti di ricerca. Abbiamo uno staff ricco di giovani studiosi in formazione, che hanno in genere contratti di 2/3 anni tendenzialmente rinnovabili. Possiamo inoltre contare su un ricco contingente di tirocinanti. Si può dire che viviamo grazie al contributo di tutte queste giovani menti».

Collaborate con altri laboratori del dipartimento?

«Certamente! Abbiamo numerose collaborazioni con i nostri colleghi del dipartimento, sia per i progetti che per la condivisione degli strumenti, come con il laboratorio di Antropologia del professor Benazzi, il laboratorio diagnostico della professoressa Vandini e con il Laboratorio di Documentazione e Informazione, della professoressa Sabba. Il nostro obiettivo è fare sistema, favorendo la fruizione delle conoscenze legate al mondo della ricerca».

Possono contribuire le nuove tecnologie alla valorizzazione dei beni culturali? 

«Certo, e per una serie di motivi: sono sostenibili e accessibili a tutti, anche con un semplice smartphone, consentono continui aggiornamenti dei contenuti, abbattono le distanze – fisiche, economiche e sociali – e offrono a tutti la possibilità di accedere alla Cultura anche dal proprio divano. Ma soprattutto, la tecnologia ci consente di intercettare più facilmente una fascia di pubblico che scarseggia nella fruizione culturale, soprattutto negli ultimi anni: i giovani».  

In che modo?

«Utilizzando strumenti quali la gamefication, puntando sulla fruizione giocosa con forme di engagement interattivo che possono intercettare le fasce di età più giovani. Ci stiamo lavorando per la Rocca di Riolo e per il museo di Cattolica».

Obiettivi e aspirazioni?

«L’obiettivo è quello di rappresentare, sempre di più, sul territorio un punto di riferimento per la comunicazione museale e sviluppare dei modelli tecnologici accessibili, semplici ed efficaci che siano spendibili nell’intera realtà museale del Paese. Inoltre, speriamo di accompagnare i nostri studenti in percorsi professionali, al di là della specifica carriera accademica, formando giovani con elevate competenze spendibili nel loro futuro nel mondo del lavoro».

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