Una petizione per salvare i capanni balneari. Già 300 firme

Dopo la comunicazione del Comune che invita i proprietari a rimuoverli entro il 30 aprile, alcuni hanno già provveduto. Ma c'è chi resiste e prova con una raccolta firme

Già 300 firme in 24 ore alla petizione per salvare i capanni balneari. A inizio febbraio, infatti, ai proprietari era arrivata una comunicazione da parte del Comune che li invitava a rimuoverli entro 90 giorni. L’Associazione Capannisti Balneari, formata da 94 soci di cui 74 con capanno, nei giorni scorsi ha manifestato a Marina di Ravenna e si è riunita in assemblea per discutere del futuro delle storiche casette in legno.

L’imminente rimozione dei capanni

La proposta del Comune è quella di rimuoverli per poi rimontarli in zone non protette, ma molti capanni non riuscirebbero a superare lo smontaggio, perché risalgono agli anni ’60 e sono già in condizioni precarie. L’alternativa sarebbe un ricorso al Tar, che però costerebbe molto senza alcuna garanzia di vittoria: per questo l’associazione è per seguire le indicazioni del Comune e alcuni capannisti hanno già iniziato a smontare e portar via le casette di legno.

C’è però chi cerca di resistere e propone una raccolta firme chiamata “Salviamo i capanni balneari”. «Per tutti quelli che vogliono conservare le tradizioni. Non vogliamo far sparire un modo di fruire la spiaggia, più rispettoso dell’ambiente e delle dune rispetto a mastodontici stabilimenti balneari. L’amministrazione comunale , dopo che il consiglio comunale ne ha stabilito il valore culturale, ha deciso che devono essere abbattuti», è scritto nella petizione lanciata da Riccardo Baruzzi.

La petizione

«Il turismo balneare a Ravenna è iniziato circa un secolo fa – racconta la petizione – , ad uso quasi esclusivo dei ravennati. Non esistevano ancora gli stabilimenti balneari, al mare ci si andava spesso in bicicletta, e per poter avere un punto d’appoggio con qualche sedia e un riparo dal sole (prima degli ombrelloni si usavano le tende) le famiglie cominciarono a costruire dei piccoli capanni in legno, al massimo di 4 metri quadrati, dove tenere le attrezzature da spiaggia. Negli anni 50 questi capanni erano numerosi poi il sorgere degli stabilimenti ha dirottato molti verso un più comodo posto sotto un ombrellone. Oggi ne sopravvivono una ottantina, e i loro proprietari (anzi, concessionari) rivendicano orgogliosamente un modo diverso di stare in spiaggia, non incasellati nella scacchiera di ombrelloni, ma con un filo di anarchia che fa sentire più liberi».

«C’è una associazione che li coordina, e che provvede al pagamento annuale della tassa di concessione demaniale. I capanni, seppure ridotti di numero, sono un aspetto così tipico della spiaggia ravennate che a settembre dello scorso anno il consiglio comunale ha approvato all’unanimità un ordine del giorno “Per riconoscere e valorizzare i capanni balneari storici quale patrimonio culturale di Ravenna e della Romagna”».

«Ovviamente la mano destra dell’amministrazione non sa cosa fa la sinistra, e un mese fa un solerte dirigente del comune, accortosi che l’amministrazione non aveva provveduto al rinnovo della concessione (ma nel contempo non aveva dimenticato di inviare i bollettini per il pagamento della stessa), ha pensato bene di emettere un’ingiunzione di abbattimento di questo “patrimonio culturale”. Qualche concessionario più timoroso ha già provveduto alla demolizione,  gli altri non sanno che pesci prendere», conclude Baruzzi nella petizione.

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