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La pittura trecentesca a Ravenna

Le recenti celebrazioni per il settecentenario della morte di Dante Alighieri hanno richiamato molta attenzione anche sul Trecento come periodo storico sia alla ricerca delle tracce che il Sommo Poeta ha lasciato in città, sia per conoscere meglio la Ravenna medievale. In questo ambito merita senz’altro un approfondimento lo sviluppo della pittura nel corso del Trecento, favorito dal mecenatismo di diversi esponenti della famiglia Da Polenta che hanno finanziato la decorazione di numerose chiese, commissionando i lavori alle più eminenti scuole giottesche della loro epoca.

Alcune opere si sono conservate ma, purtroppo, molte di queste sono andate perdute per diversi motivi come rimozioni o sottrazioni.Del ciclo pittorico della chiesa di Santa Maria in Porto Fuori rimangono solo, oltre ai numerosi studi sull’argomento, diverse fotografie in bianco e nero, scattate negli anni Venti del Novecento dai Fratelli Alinari e alcuni preziosi appunti stilati nell’Ottocento dal critico d’arte Giovanni Battista Cavalcaselle.Di tutte le opere, comunque, si sono occupati importanti studiosi e critici d’arte quali Roberto Longhi, Carlo e Alessandro Volpe, Fabio Massaccesi, Daniele Benati, solo per citarne alcuni, le cui ipotesi di attribuzione e le datazioni sono risultate molto difficili – e spesso in contrasto fra loro – poiché per gli artisti dell’epoca non era consuetudine firmare i propri capolavori.La pittura a Ravenna nel Trecento si è sviluppata durante tutto il secolo, a partire dal primo o secondo decennio per il ciclo di Santa Chiara fino agli albori del Quattrocento per il ciclo di San Giovanni Evangelista.

Per i lavori della prima metà del secolo gli studiosi identificano la mano della prestigiosa scuola giottesca riminese, individuando Pietro da Rimini come uno fra i protagonisti indiscussi di tale bottega, mentre per la seconda metà del Trecento gli esecutori sembrano influenzati dalla figura di Vitale da Bologna o comunque dagli esponenti della scuola giottesca bolognese.Nella Sala del Refettorio del Museo Nazionale si può ammirare il ciclo degli affreschi di Santa Chiara, staccati negli anni Cinquanta del Novecento dall’ex chiesa omonima, oggi teatro Rasi. Realizzato nei primi decenni del Trecento, viene attribuito dalla critica, pressoché unanime, a Pietro da Rimini e alle sue maestranze e comprende le raffigurazioni di alcune delle scene sacre più diffuse all’epoca legate alla vita di Cristo. Le vele della volta rappresentano gli Evangelisti, con i loro simboli, e i Dottori della Chiesa nell’atto di redigere i loro testi sacri. Non mancano gli esponenti più importanti dell’ordine francescano e di quello delle Clarisse. Due pannelli riportano rispettivamente la figura di San Sigismondo e la Lapidazione di Santo Stefano.
Si tratta di un ciclo di affreschi veramente pregevole, che denota come la rivoluzione giottesca sia stata ben recepita e sviluppata dagli artisti romagnoli.La chiesa di San Domenico, costruita nel 1269 e attualmente non agibile, conserva alcuni frammenti pittorici nella sacrestia e nella zona del campanile. Su alcuni lacerti sono stati sottratti i volti dei santi, probabilmente destinati al mercato nero dei collezionisti. Nonostante queste opere non siano visibili al pubblico, è importante sottolineare come anche questo edificio religioso sia stato decorato nel corso del Medioevo.Anche il Duomo di Ravenna conserva un dipinto di epoca trecentesca: si tratta della Madonna del Sudore, un piccolo quadro oggetto di grande venerazione fin dal Cinquecento poiché l’immagine è ritenuta miracolosa.
Nonostante le dimensioni ridotte, è ben visibile la cifra stilistica giottesca, con l’inconfondibile forma dell’occhio allungata.[vc_single_image image=”5537″ img_size=”large” add_caption=”yes”]La basilica di San Francesco conserva pochissimi brani di affreschi nonostante fosse la chiesa di riferimento della famiglia polentana e, pertanto, sicuramente abbellita in ogni superficie. Le successive decorazioni, soprattutto in epoca barocca, hanno cancellato molti dei dipinti trecenteschi che la caratterizzavano.
Oggi rimane il volto con busto di una Santa, incluso in una nicchia della navata destra, che ricorda molto da vicino le figure di sante che erano presenti nel ciclo di affreschi di Santa Maria in Porto Fuori. Nella navata sinistra, invece, rimangono alcuni frammenti molto danneggiati in cui con estrema fatica riconosciamo il tema sacro ma raro all’epoca, relativo all’Ospitalità di Abramo.
Un altro affresco staccato, sempre di epoca trecentesca, con una Crocifissione con Madonna e Santa Maria Maddalena è collocato su una parete della controfacciata.La chiesa di San Nicolò conserva diversi affreschi trecenteschi riconducibili a cicli dedicati alle vite di alcuni santi, tra cui un San Giorgio che uccide il drago. I modelli stilistici sembrano più vicini alla scuola bolognese anche se in alcuni dipinti non mancano richiami ai modelli riminesi. Dal momento che la chiesa venne restaurata nel 1364, si può supporre che queste opere furono realizzate nella seconda metà del secolo.Nella cappella “giottesca” della basilica di San Giovanni Evangelista si ripropone, nella volta, lo stesso tema iconografico del ciclo di affreschi di Santa Chiara, ovvero le coppie di Evangelisti e Dottori della Chiesa, anche se la loro disposizione spaziale risulta differente. Sono trascorsi diversi decenni tra la realizzazione delle due volte: infatti, in san Giovanni Evangelista si scorgono tendenze tardogotiche, distinguibili dagli intrecci di vegetazione che ornano i bordi delle vele, per cui si può ipotizzare un periodo di realizzazione a cavallo del nuovo secolo.
Nella parete troviamo due lacerti con la Crocifissione e Madonna con il Bambino, due Santi e quattro committenti. Qui, per la prima volta, compare una data, il 1380, e il nome del committente, Maestro Gherardo di Massa e sono ravvisabili sviluppi stilistici più vicini al neo-giottismo e al gotico.[vc_single_image image=”5550″ img_size=”full” add_caption=”yes”]Nonostante molti dipinti siano di difficile lettura, rimane la testimonianza di un periodo fervido che ha visto una decisa trasformazione culturale della città, grazie alle committenze della famiglia Da Polenta. Le relazioni politiche, diplomatiche e parentali dei polentani con la famiglia Malatesta hanno favorito lo scambio culturale e la circolazione di quel circuito artistico che faceva riferimento al grande rivoluzionario della scena pittorica italiana, Giotto, apportando le innovazioni stilistiche ben recepite e sviluppate dalla scuola di Rimini e che si evolveranno, in seguito, con la scuola di Bologna.[vc_single_image image=”5551″ img_size=”medium”]SERENA ZECCHINI 

 

È laureata con Lode, sia nel corso di Laurea Triennale in Beni Culturali che nel corso di Laurea Magistrale in Beni Archeologici, Artistici e del Paesaggio: Storia, Tutela e Valorizzazione, presso l’Alma Mater Studiorum – Università degli Studi di Bologna. Ha conseguito l’abilitazione alla professione di guida turistica nel 2013.
Ha collaborato alla stesura della guida “Incontro a Dante. Percorsi guidati alla scoperta della Ravenna del Sommo Poeta”, SBC Edizioni, 2020, con un itinerario dedicato alla Ravenna trecentesca, al tempo di Dante Alighieri.
Appassionata di storia dell’arte, è sempre alla continua ricerca di informazioni di carattere storico e artistico, di aneddoti e di notizie curiose e insolite, relative alla propria città.

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