Nato ufficialmente nel 1994 sulle spiagge di Ravenna e della riviera romagnola, il beach tennis ha avuto una parabola tutta sua. Oggi è uno sport che sta riscuotendo molto successo in Brasile, dove quasi tutti i campioni si sono trasferiti, ed è giocato anche all’Isola della Réunion, in Spagna, ad Aruba, in alcune zone della Germania e in altri paesi.
Più Notizie ha chiesto a Luca Amaducci, che gestisce la scuola Beach Tennis College Ravenna da più di 10 anni e organizza tornei in città e nei dintorni, di raccontare l’avvio della nuova stagione invernale e di fare il punto sul settore a Ravenna. Amaducci è stato campione mondiale IFBT – International Federation Beach Tennis nel 2010 e nel 2011. La IFBT del patron Giandomenico Bellettini è stata la prima federazione di beach tennis, poi passata sotto la gestione dello stesso Amaducci. Il beach tennis ha, infatti, l’unicità — a differenza di padel e pickleball — di essere entrato nella Federazione Italiana Tennis quando era già ampiamente diffuso (2005) ed esisteva già una federazione indipendente.
Oggi a Ravenna oltre al Beach Tennis College di Amaducci, c’è una sede della Beach Tennis School, ci sono scuole UISP a Lugo, l’associazione Play Ball a Cervia, la Beach Park Polisportiva di Faenza e tante altre.
Luca Amaducci, da quanti anni ha iniziato a fare questo lavoro?
«Ormai sono 12 anni che ho la scuola di beach tennis. Ho iniziato dalla Robur, che era in via Guidarelli e adesso è diventata un parcheggio. Poi sono stato cinque anni al Match Point (quartiere Gulli) e adesso, da qualche anno, sono al Circolo Tennis Zavaglia. Da ottobre ad aprile sono al chiuso, poi in estate la mia attività si sposta al mare. Alla mattina seguo il centro estivo per i bambini; mentre al pomeriggio insegno. Nel weekend organizzo i tornei, in inverno al Circolo Acquae di Porto Fuori, con cui collaboro, mentre in estate ovviamente al mare».
Come è partito?
«Ho sempre avuto la passione per il beach tennis e giocavo a un buon livello. Dal punto di vista lavorativo, ho iniziato organizzando i tornei, mi avevano passato la gestione dei tornei IFBT, solo dopo ho iniziato a insegnare. I miei primi allievi sono stati proprio i bambini che partecipavano ai tornei. Così ho iniziato a creare la scuola, inizialmente con dei prezzi molto competitivi, e da lì è partito tutto, intorno al 2011».
Oggi invece chi è il suo allievo tipo?
«Non ho un allievo tipo, alleno persone di tutte le età, partono dagli 8 anni circa fino ai 50–55 anni, di tutti i livelli. Arrivano sia persone alle prime armi sia giocatori di buon livello, ragazzi e ragazze promettenti».
Come si posiziona rispetto ad altre scuole?
«La differenza principale tra me e altre scuole è che io sono da solo, non ho costi del personale oltre ai miei; mentre altre realtà hanno presidenti, allenatori, responsabile dei gruppi, sono più strutturate. Io faccio tutto da solo, ho un collaboratore a cui pago le ore di lezione; ma tutto il resto lo faccio io dalla gestione alla formazione dei gruppi. La formazione dei gruppi è molto delicata e non facile, perché bisogna cercare di crearli il più omogenei possibili, in modo che ci si diverta e si abbia la possibilità di migliorare più facilmente».
E che tipo di tornei organizza?
«Oggi principalmente hanno uno stampo amatoriale, poi, sì, organizzo gli italiani dell’IFBT, ma molto con uno stampo per appassionati. Parallelamente c’è la FIT (Federazione Italiana Tennis) che organizza i tornei di tipo professionistico/agonistico, anche se ormai i giocatori più forti competono principalmente nell’ITF (International Tennis Federation), cioè nei tornei internazionali. È uno sport con delle dinamiche strane».
Cioè?
«Capita che dei tornei non federali abbiano un livello di gioco più alto rispetto a quelli federali (ndr, FIT), perché magari ci sono dei premi più alti e allora attirano giocatori molto forti. In più, un problema dei tornei federali è che la quota d’iscrizione non è bassa, ma non sono garantite molte partite. Mentre in un torneo amatoriale sono garantite almeno 4 partite e spesso c’è il tabellone B. Forse dipende anche dal fatto che è uno sport nato dal basso e non dalla federazione».
Tornando sul beach tennis internazionale, oggi il movimento è vivo soprattutto in Brasile, giusto?
«Sì, il beach tennis nasce a Ravenna, ma oggi i professionisti più forti, sia allenatori sia giocatori, si allenano o vivono in Brasile, dove sono molto riconosciuti anche dal pubblico».
Come mai, secondo lei, il Brasile? Per noi è un’occasione sprecata?
«In Brasile c’è il clima perfetto, ci sono spiagge molto grandi, non c’è la questione di giocare al chiuso in inverno e all’aperto in estate. Sì, sicuramente, anche a livello turistico Ravenna potrebbe sfruttare di più il beach tennis, dal momento che è nato qui».
Ma…?
«È comprensibile che non si investa più di tanto in uno sport dove da aprile a settembre si svolge tutto all’aperto in spiaggia, i circoli devono inventarsi qualcos’altro e non è sempre facile, poi smontare i palloni è un costo importante. La federazione incassa di meno rispetto a tennis e padel che si possono giocare solo negli appositi campi».
Il beach tennis in Italia oggi come va? E a Ravenna?
«In Italia il movimento si è molto sgonfiato rispetto a 10 anni fa, a Ravenna la cosa non si sente, perché molte persone continuano a giocare e sono appassionate. In altre città, però, dove era nato un certo interesse per questo sport, oggi è completamente morto, sempre per i motivi prima esposti».
C’entra anche il padel?
«Una parte di giocatori sicuramente li ha presi, ma non solo dal beach tennis. Con il fatto che è stato promosso da calciatori famosi, come Vieri, secondo me ha preso una bella fetta anche dal calcio amatoriale. Il padel va anche solo per il fatto che non ti sporchi, mentre a beach tennis c’è la sabbia e a tennis — ancor peggio — la terra rossa».
Per concludere, adesso che è settembre ci sono da fare dei lavori particolari per iniziare la stagione indoor?
«In genere quasi nulla, ogni tre o quattro anni si deve rinforzare il fondo aggiungendo nuova sabbia. Questo per me è uno di quegli anni, infatti, nei giorni scorsi mi è arrivata e l’ho stesa. Ho la fortuna che dove sono io il pallone non viene sgonfiato, gli altri devono rimontare il pallone. La prossima settimana invece sarò in Lituania ad allenare, poi al rientro inizia la scuola».
Le capita di allenare anche all’estero?
«Sì, sono stato a fare dei periodi di lezione in Lituania, dove appunto tornerò, in Costa Rica e in Bulgaria. Se non avessi la scuola, mi piacerebbe fare qualche anno di lavoro all’estero. Ma, in questi 12 anni, ho lavorato tanto per costruire la bella realtà che ho oggi e sono in ottimi rapporti con gli allievi, non voglio perdere questa fortuna. Perciò ogni tanto mi piace fare qualche giorno di lezione in giro per il mondo, per poi tornare da loro».
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