01 Ott 2023 11:58 - In evidenza
Lamonaca (Villaggio del Fanciullo): «Strutture sature. Bisogna cambiare mentalità»
Più Notizie ha intervistato Patrizio Lamonaca, direttore del Villaggio del Fanciullo per sapere come stanno i giovani ospiti e come procede l'accoglienza dei minori a Ravenna.
di Roberta Lodisco
Sono passati nove mesi dal primo sbarco di migranti a Ravenna. L’Ocean Viking è giunta per la prima volta il 31 dicembre del 2022 con a bordo 113 persone in cerca di una nuova patria. Da allora altre 3 navi sono approdate al terminal crociere di Porto Corsini con il loro carico di sogni e speranze. Fra i passeggeri molti giovani senza una famiglia che hanno trovato una casa grazie al contributo speciale del Villaggio del Fanciullo di Ravenna. La struttura, ormai da anni si occupa della seconda accoglienza dei piccoli migranti che giungono nelle nostre coste, per integrarli nel sistema scolastico e indirizzarli verso un percorso formativo e lavorativo utile per integrarli nel nostro Paese. Quest’anno in occasione dei primi sbarchi giunti a Ravenna ha aperto un CAS (ndr. Centro di Accoglienza Straordinaria) nell’Ex Villa Nina, su richiesta della prefettura. Il centro, come ogni CAS, è un luogo transitorio della durata di 1 mese per l’integrazione iniziale dei ragazzi, in attesa di una sistemazione stabile in seconda accoglienza. Più Notizie ha intervistato Patrizio Lamonaca, direttore del Villaggio del Fanciullo, per sapere come stanno i giovani ospiti e come procede l’accoglienza dei minori a Ravenna.
Dall’apertura dell’Ex Villa Nina in occasione del primo sbarco del 31 dicembre sono passati 9 mesi, come sta andando?
«Al momento nel Centro di Accoglienza Straordinario, ex villa Nina, nato in occasione del primo sbarco abbiamo 27 ragazzi, mentre altri 30 sono nel nostro centro di seconda accoglienza. I ragazzi al CAS non sono gli stessi giunti nei primi sbarchi, alcuni sono stati spostati in seconda accoglienza, sia da noi che in altre strutture di Italia. Un solo ragazzo è lì ancora da febbraio, giunto con il secondo sbarco a Ravenna. Sfortunatamente al momento non ci sono posti liberi in seconda accoglienza, per procedere con il percorso di integrazione scolastica, ed è quindi rimasto bloccato al CAS».
Si sono già adattati quindi?
«Si, ormai i primi ragazzi che abbiamo ospitato sono integrati, parlano bene l’Italiano e hanno iniziato il loro percorso scolastico. I CAS prevedono un’accoglienza massima di 30 giorni, il problema è che le strutture di seconda accoglienza sono sature in tutta Italia, di conseguenza le strutture straordinarie (CAS) stanno diventando ordinarie, con tutti i problemi che ne conseguono. I ragazzi hanno voglia di andare a scuola, di ricominciare, ma non avendo i documenti in regola e non essendo attrezzati come struttura di seconda accoglienza non possiamo offrire loro questa possibilità».
Come mai allora ancora così tanti assistiti?
«Ne sono arrivati altri, non direttamente da sbarchi locali ma il governo ha spostato alcuni migranti da Lampedusa a Bologna per decongestionare i CAS, e da lì sono smistati nei centri della regione in cui c’era posto».
Come è la situazione delle strutture?
«La struttura doveva stare aperta per solo un mese. Siamo arrivati a nove e abbiamo appena fatto una convenzione per mantenerla aperta fino alla fine dell’anno. Al momento noi gestiamo 57 minori fra strutture di prima e seconda accoglienza. La struttura di Ponte nuovo ha 30 posti ed è piena da un anno, appena un posto si libera viene immediatamente riempito. La prefettura e il governo chiedono di aprire nuovi centri, ma per me questa non è una soluzione. Se non liberiamo i centri di seconda accoglienza non ha senso aprire nuovi centri di accoglienza straordinaria, ma non possiamo certamente mandar via i ragazzi che si trovano nel bel mezzo del loro percorso di integrazione».
Da dove provengono questi ragazzi?
«Zona subsahariana, Cosata d’avorio, Gambia ultimamente anche Camerun. Molti ragazzi arrivano dal Bangladesh e dall’Afghanistan. Ovviamente le loro motivazioni variano in base alle zone. Alcuni fuggono dalla guerra, altri arrivano qui con l’obiettivo di trovare lavoro e mandare dei soldi alla famiglia»
Avete affrontato particolari problemi con loro?
«Loro sono bravissimi, in questi mesi non abbiamo mai avuto problemi, sono sempre stati tranquilli, nonostante le difficoltà. Loro vedono i telegiornali e si rendono conto di quello che succede, sono consapevoli delle difficoltà della situazione in cui si trovano. Ci hanno spesso spiegato che sono consapevoli dei rischi che corrono partendo in mare, ma lo fanno per mancanza di alternative».
I ragazzi che ospitate vi tornano a trovare?
«Sì, tornano sempre, e per noi è una grande soddisfazione rivederli, in questi giorni è venuto uno dei ragazzi che è stato ospite da noi, aveva fatto un percorso di formazione da elettricista, e adesso si è aperto una sua ditta, è stata una gioia immensa»
Solitamente che percorsi seguono questi ragazzi in seconda accoglienza?
«Molti fanno l’alberghiero o corsi di formazione professionale, fanno tirocini in azienda, e stage in ditte da noi conosciute. Loro hanno una gran voglia di inserirsi e non si tirano indietro».
Qualcuno ha mai deciso di restare a lavorare con voi?
«Uno dei ragazzi che ha fatto il percorso da noi è rimasto, ha fatto il percorso da mediatore e adesso lavora con noi, è pakistano e ci aiuta molto con i dialetti locali, un supporto molto utile, ma noi gli auguriamo di fare anche altre esperienze».
Secondo lei cosa si può fare per migliorare la situazione?
«I problemi sono molti e non è facile affrontare la questione, gli arrivi sono tanti e l’Europa non aiuta. Io credo che potremmo potenziare i rapporti con le ambasciate, per affrontare la fase d’accoglienza, le ambasciate potrebbero contribuire fornendoci più informazioni sulla gente che arriva, per comprendere se effettivamente sono minorenni o meno, per capire meglio le singole situazioni, la loro collaborazione potrebbe essere utile per una valutazione immediata della situazione».
E i cittadini cosa possono fare nella vita di tutti i giorni?
«Cambiare mentalità. Bisogna dare spazio alle realtà che lavorano bene e far vedere cosa facciamo, si parla sempre di chi lucra su questi centri e poco di chi fa un buon lavoro. Noi teniamo ai nostri ragazzi e offriamo tutti i servizi utili, ogni tanto anche rimettendoci, dovendo gestire il tutto in contesti precari con continui rinnovi provvisori che non agevolano il lavoro, non si riescono a fare contratti stabili e duraturi, gli operatori cambiano e devono ricomprendere le procedure. Non è semplice e la disinformazione è tanta. Quello che possiamo fare è spingere la gente verso la tolleranza, far capire cosa affrontano questi giovani e le terribili esperienze che hanno vissuto nella loro vita, sono i nostri figli ma con situazioni più pesanti alle spalle. Abbiamo bisogno che la gente capisca che siamo qui per dare una mano».