In Italia la Pasqua è da sempre una festività legata alla religione e alle tradizioni rurali. Anche Ravenna, celebre per i suoi tesori artistici e storici, è ricca di rituali pasquali legati alla tradizione contadina, che riflettono il forte legame che la comunità ha con le campagne che la circondano.
Le celebrazioni della Pasqua in Romagna si concentrano nella Settimana Santa. La prima cerimonia religiosa è la Domenica delle Palme, durante la quale è tradizione andare a messa per la benedizione delle palme intrecciate e dei ramoscelli di ulivo. Verranno conservati in casa fino all’anno successivo a protezione della dimora e della famiglia.
Seguono durante la settimana una serie di cerimonie e processioni che commemorano la passione, morte e resurrezione di Gesù Cristo. Le città e i villaggi sono adornati con decorazioni pasquali, e nelle campagne è abitudine mettere in pratica o almeno raccontare alle nuove generazioni alcuni riti dei tempi andati.
Il Giovedì Santo nelle pianure ravennati era abitudine legare gli alberi da frutto, poiché secondo una leggenda, questi avrebbero dato un raccolto più abbondante e la nebbia non li avrebbe danneggiati. Allo stesso modo, in città si legavano le campane della chiesa, per rispettare il silenzio della passione, e si dava il via a un periodo di digiuno.
Il Venerdì Santo è dedicato ad una delle tradizioni religiose più importanti della Settimana Santa: la Via Crucis. Una processione per le strade delle città in una suggestiva atmosfera di devozione e spiritualità, ricordando le tappe della passione di Cristo.
Il Sabato Santo, quando le campane venivano sciolte, i contadini liberavano i rami degli alberi e le fanciulle scioglievano i capelli per farli crescere più lunghi e voluminosi. Nelle vigne si percuotevano i tronchi delle viti, invitandole a dare un prodotto buono e abbondante e recitando formule di scongiuro contro la grandine. Ci si lavava il viso senza asciugarlo per auspicio di buona vista. Quando suonavano le campane finalmente slegate, si prendevano per le mani i piccoli e li si aiutava a superare qualche ostacolo, credendo che in virtù di ciò avrebbero iniziato a muoversi più speditamente. Si lavorava solo mezza giornata per poi passare il pomeriggio in cucina a preparare per i festeggiamenti del giorno successivo.
Durante la Domenica di Pasqua era usanza indossare l’abito buono e andare a messa per festeggiare la resurrezione di Gesù. Si trascorreva il resto della giornata in casa e in famiglia godendosi la buona cucina. Un detto di Castel Bolognese dice: “E’ dè ‘d Pasqua e e’ dè ed Nadèl /totti al galein a e’ su puler”: nel giorno di Pasqua le donne non andavano a far visita in casa altrui, poiché ciò avrebbe portato disgrazia, quindi ogni “gallina” restava nel proprio “pollaio”.
Il Lunedì di Pasqua è un momento dedicato alle scampagnate all’aria aperta, fra canti e carne arrosto nelle zone di campagna o per le prime passeggiate al mare. La Pasqua rappresentava la vera fine dell’inverno e come recita il detto: “êlta o basa, l’è invéran fena a Pasqua”, “alta o bassa che sia, l’inverno finisce a Pasqua”.
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