Il singolare museo di Savarna a Ca d’Sgurèn

Ravenna oggi non sfigura al confronto con altre realtà internazionali grazie a Marco Miccoli, fautore di questa forma d’arte, che ha contribuito enormemente alla sua diffusione in città.

Il Museo Etnografico della Civiltà Contadina Sgurì nella campagna di Savarna, sebbene abbia la definizione di museo, è qualcosa di diverso dalla consuetudine per la singolarità del contesto storico ambientale e la dignità espositiva. Offre la sensazione di entrare nel mondo della cultura materiale e dell’artigianato rurale per gli oggetti raccolti nel corso degli anni, testimoni di un modo di vivere che pian piano rischia di essere dimenticato. È un museo particolare, dove alcuni oggetti e attrezzi non sono esposti in adeguate ricostruzioni ambientali, ma sono parte integrante dell’abitazione in cui vive la famiglia Segurini e riceve i visitatori.Casa Segurini, situata in via degli Orsini in un angolo nascosto delle terre già feudo della potente dinastia dei Rasponi, dal 1996 è proprietà della famiglia Sgurèn.

Si estende su una vasta area che ci fa immergere a pieno titolo nella campagna dove si può sentire il canto del gallo o incontrare sull’aia qualche anatroccolo. Il grande spazio cortilizio accoglie una varietà di tipologie costruttive, ben ristrutturate e diversificate nella loro funzionalità e nella loro evoluzione: la stalla, il magazzino, il casone, il silo, i servizi o basso comodi e i capanni.

I due capanni, esempi di costruzioni rurali nel contesto di un habitat naturale comprensivo di ambienti umidi, sono realizzati in cannuccia di valle. Hanno caratteristiche strutturali simili e si inseriscono armoniosamente nel contesto abitativo per la forma, l’armonia e il colore: la capanna, la capâna, è interrata e avvolta dalle ampie falde del tetto, diversamente il capanno e’ capân con le pareti verticali e il tetto più spiovente. I capanni ci permettono di risalire alle primitive abitazioni realizzate con la vegetazione tipica delle nostre aree alluvionali con tecniche ancestrali.La visita della casa-museo è una continua scoperta per la quantità e la qualità degli oggetti che ci aiutano a leggere la storia del territorio, i rapporti di lavoro, l’avanzare della tecnologia in ambito agricolo e, non ultimo, a soffermarci sulle loro denominazioni dialettali per il recupero di aspetti linguistici locali che penetrano a fondo nel sapere popolare.La casa museo, che offre un contributo decisivo alla conoscenza del passato e alla conservazione della memoria, non raccoglie solo attrezzi del lavoro agricolo e oggetti di uso quotidiano della civiltà contadina, ma svariati strumenti delle vecchie botteghe artigiane e mezzi di trasporto a traino per cose e persone. Strumenti utili per lo studio e la ricerca della cultura materiale rimangono come testimoni del tempo, della fatica e di un’abilità costruttiva artigianale non priva di aspetti artistici in particolare nella realizzazione di oggetti usati per la vestizione dei bovini quando venivano portati nelle fiere e nei mercati come animali di prestigio. Sono esposte le caratteristiche coperte di canapa tessuta dalle donne della famiglia contadina, stampate a ruggine con motivi ornamentali e l’immagine del santo protettore. Erano poste sul dorso dei buoi e assicurate da ferma coperte, denominate cavalèta o stècval, in legno lavorato a intaglio con ricche decorazioni che esaltavano la specificità artigianale.

Alcune, particolarmente interessanti nella loro iconografia, offrono una molteplicità di elementi simbolici che riconducono alle espressioni della fede popolare non sempre facilmente inscindibile da credenze pagane legate a una diffusa mentalità collettiva.[vc_single_image image=”5177″ img_size=”full”]Arricchiscono il museo anche numerosi esemplari di cavèje, in ferro battuto, la più nota, è la cavèja cantarena o camapanèna, simbolo per eccellenza della Romagna, il grosso perno con funzione di blocco o freno che era inserito nel timone del carro, trainato dai buoi. Erano decorate con incisioni a bulino che riproducevano disegni zoomorfi o simboli di fede cristiana e, nella cultura popolare, assunsero il ruolo di oggetto magico dai poteri propiziatori per scongiurare i temporali o assicurare un buon raccolto.La bella collezione di cavèje cantaren, costituita da numerosi esemplari dai più semplici ai più ricercati e armoniosi negli intagli e nei decori, in occasione di una mostra a tema, è stata corredata di un ricco catalogo dove le cavèje sono presentate singolarmente e descritte in dettaglio nella forma, nella cimasa, nella pagella e negli aspetti iconografici con le loro interpretazioni simboliche.A completare la collezione dei calessi sono esposti pure gli accessori e i finimenti per i cavalli: la sella, la staffa, la testiera, la capezza, le redini, l’imbragatura, la martingala e i pettorali oltre a frustini di corame o flessibili intrecciati in legno di bagolaro. Non sfugge al visitatore la raccolta di oltre trecento morsi da cavallo che, pur svolgendo la medesima funzione, sono particolarmente rappresentativi per la diversità della foggia del cannone e del barbozzale, per l’epoca di fabbricazione o per l’utilizzo su cavalli da galoppo o da traino dei calessi e delle carrozze.Ca d’Sgurèn nelle passate stagioni, libere da limitazioni sanitarie, puntualmente era luogo eletto per eventi culturali di spessore legati al recupero o al mantenimento delle tradizioni romagnole nella convinzione di far conoscere il territorio nei suoi molteplici aspetti. Talvolta, in occasione di particolari eventi, sull’aia  venivano esposti alcuni carri agricoli,  di cui  uno dipinto nel 1926 da Maddalena Venturi, la popolana decoratrice dei tipici plaustri, celebre in tutta la Romagna  che, con vivacità di colori e perizia manuale, dipingeva immagini sacre, come Sant’Antonio o la Madonna delle Grazie che rispecchiavano il suo sentimento religioso.[vc_single_image image=”5178″ img_size=”full” add_caption=”yes”]Gli eventi e le mostre tematiche con i relativi cataloghi, oltre alla loro valenza culturale, testimoniano la disponibilità di Romano Segurini a mettersi al servizio della comunità.[vc_single_image image=”5497″ img_size=”medium”]

OSIRIDE GUERRINI

Laureata in lettere con una tesi di storia locale, continua durante gli anni di insegnamento a coltivare con passione di ricercatrice interessi letterari, storico ambientali su tematiche ravennati. Collabora con enti e istituzioni per corsi, conferenze, progetti. Ha scritto numerosi articoli e saggi su riviste e periodici oltre a monografie sul territorio e pubblicazioni quali “Ravenna nel XIII secolo, storia e vita nel Comune medievale” (1993); “Giochi nella Valle, da Zacula a Furmajn”(2008); “Aqua e tëra, tëra e aqua, vivere e lavorare a Sant’Alberto un paese fra Primaro e Lamone” (2013); “La ròba d’una völta a Ca d’Sgurèn” 2018. Con SBC edizioni ha pubblicato “Il Lamone, un fiume tra storia e genti” (2016) e “Ravenna, un paesaggio che attraversa la storia” (2019), entrambi con Pietro Barberini, “Francesca da Ravenna” (2020) e “Dietro le quinte di Palazzo Rasponi” (2021) con Laura Montanari.

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