Il Museo Nazionale: un microcosmo nel macrocosmo della città di Ravenna

Una passeggiata nel concentrico ambiente del Museo Nazionale evoca la grandezza di una città tre volte capitale, un unicum nella storia del nostro territorio.

Foto: Chiara Dobro

L’incontro con una città rassomiglia all’incontro con un autore antico o moderno che sia, un momento di interpretazione emozionale ed esperienziale che talvolta può cambiare la vita. Sono sempre gli incontri che ci emozionano e ci illuminano.

Illuminante è l’incontro con Ravenna, la città delle acque come si suppone dal suo nome etrusco, se si impara a conoscerla a poco a poco, camminando per le sue strade, soprattutto quelle secondarie dove risuonano gli echi dell’antico splendore di una città che fu ultima residenza dell’Impero romano d’Occidente, capitale del regno romano-barbarico di Teodorico, re dei Goti, e seconda città solo a Costantinopoli, porta d’Oriente fino alla conquista longobarda nell’VIII secolo.

Un viaggio alla scoperta delle sale del Museo Nazionale

Ricostruire il suo passato diviene complesso alla luce delle alterne vicende a partire dalla sua colonizzazione romana fino al suo inquieto e tacito Risorgimento e alla costituzione del Regno d’Italia. Tuttavia percorrere le sale e i chiostri del Museo Nazionale nel Monastero di San Vitale può aiutare ad immergersi nel labirinto storico della città in un gioco di spazi aperti e chiusi, longitudinali e orizzontali, in un intreccio di vicende che si annodano a dimostrazione che la storia non è un racconto sequenziale, ma labirintico come la mente e il pensiero.

Foto: Patera

Il contenitore di per sé, il monastero benedettino del IX-X secolo, è già degno di una visita esplorativa attraverso gli spazi monastici che hanno subito le addizioni nel corso dei secoli: i chiostri rinascimentali del XVI, il Chiostro Piccolo della Cisterna e il Chiostro Grande, il Chiostro dell’Orto del XVIII disegnato da Soratini, ma mai completato e non visitabile, lo scalone tardo gotico del monaco Benedetto Fiandrini chiamato “Scalone Nuovo”.

Questo contenitore che si snoda nei secoli divenne sede del Museo negli anni precedenti lo scoppio del primo conflitto, precedentemente ospitato nei locali del Monastero classense in città e riconosciuto come nazionale nel 1885 mediante Convenzione fra il Ministero della Pubblica Istruzione e il Comune di Ravenna che aveva acquisito la raccolta nel 1804 in età napoleonica.

La collezione frutto della passione antiquaria dei monaci camaldolesi soprattutto incentivata dell’abate Pietro Canneti, a capo dell’ordine dal 1684 al 1689, si accrebbe grazie a ritrovamenti archeologici successivi, a donazioni, acquisti e rinvenimenti vari che continuano ad alimentare l’immagine di Ravenna capitale. Non ultimo per importanza il ritorno nella città della tela di Nicolò Rondinelli raffigurante San Giovanni Evangelista dopo due secoli di assenza. Il trasferimento del dipinto conservato nei depositi della Pinacoteca di Brera è avvenuto, in corso d’anno, grazie ad un’operazione del Ministero della Cultura che intende valorizzare i musei di minor richiamo mediatico, ma non per questo di minor importanza.

Se Ravenna può essere considerata un museo a cielo aperto con i suoi otto monumenti Unesco, il Museo Nazionale ricrea e cela una memoria interrotta e frammentata e la fa vivere nelle sue sale e lungo i suoi chiostri in un dialogo fra epoche e mondi: l’età romano-pagana si sostiene all’ombra di quella cristiana che cede il posto ai secoli del gotico e del Rinascimento ben presenti nel secondo Chiostro. Dovunque l’occhio si posa, dialoga col passato; gli spazi sono gravidi di una memoria vissuta e ritrovata.

Il lapidario

Particolarmente suggestivo è il lapidario ospitato nel primo Chiostro dove si possono ammirare pezzi di grandissimo valore come le grandi patere marmoree provenienti dalla demolita Porta Aurea, probabilmente eretta nel 43 d.C per la venuta a Ravenna dell’imperatore Claudio. Ancora restano tracce alla fine dell’omonima via Porta Aurea dei basamenti circolari delle torri che fiancheggiavano il famoso accesso in città, probabilmente, come scrive Andrea Agnello, vicino all’anfiteatro e al tempio di Apollo. L’importanza acquisita da Ravenna fin dal Principato augusteo e durante tutta la dinastia giulio-claudia testimonia e presagisce il suo futuro di ultima capitale: Ravenna, finestra sull’Oriente e guardiana dell’Adriatico, un mare di vicinanze e di legami, ma anche militarmente strategico.

Uscendo dalla sala, antico magazzino monastico dei formaggi, corde e ferro, che ospita le grandi rote che ornavano Porta Aurea, si incontrano lungo il corridoio in fondo a sinistra due frammenti consistenti di uno stesso bassorilievo ritrovati nel ‘500 presso il Mausoleo di Galla Placidia. Il bassorilievo potrebbe essere una “ara pacis” databile senza dubbio nel primo secolo in cui si riconosce nella prima sequenza sacerdoti vittimari che conducono in sacrificio un toro, nella seconda sequenza sfila la famiglia imperiale alla cui testa si evidenzia Augusto con gli attributi di Giove, fulmine nella mano sinistra e piede sinistro sulla sfera celeste. Si tratta di un’evidente divinizzazione del princeps e della sua famiglia fra cui si staglia Livia in veste di Venere genitrice e l’amato Marcello o Tiberio che succedette ad Augusto, oltre al generale vittorioso Agrippa e ad una figura femminile, probabilmente una divinità che chiude la sfilata.

Le steli del chiostro

Un discorso va riservato alle steli che si ammirano lungo tutti i lati del chiostro nella testimonianza storica diretta delle intenzioni dei tanti liberi, liberti che vivono di vita propria negli epitaffi. Toccante nella sua semplicità la stele del I secolo di Paccia Helpide, una liberta di trenta anni ricordata dal patrono Caio Paccio e dal marito.

La dislocazione dei pezzi del lapidario è particolarmente suggestiva nelle appartate salette che si affacciano sul fascinoso chiostro e rimandano al carattere pubblico della società antica che aveva nell’esterno il suo raggio d’azione, la sua rappresentazione.

Il secondo piano

Salendo al piano superiore tramite il grande scalone Fiandrini si accede alle ex celle dei monaci che a partire dal 1919 sono state trasformate in sale per la musealizzazione di importanti collezioni che contano pezzi unici: collezione dei bronzi, delle ceramiche, delle armi, delle icone e in particolare degli avori. Vale la pena chiudere la carrellata con il Dittico di Murano, un evangelario di VI secolo di lavorazione alessandrina, proveniente dal nucleo della collezione classense. La parte posteriore della copertina è stata smembrata e alcuni frammenti sono attualmente in possesso dei musei di Manchester, Hermitage e Louvre.

Se potesse parlare, ogni pezzo racconterebbe di sé, della storia della sua fabbricazione, delle mani che lo hanno toccato, delle vicissitudini affrontate prima di giungere nel porto sicuro del Museo Nazionale di Ravenna: un museo unico per la sua composizione e per la sua funzione di vigilanza sull’inquietudine di una storia di declini e di rinascita, di tramonti e di albe negli spazi monastici attigui alla basilica imperiale di San Vitale.

Maria Grazia Lenzi

Diplomatasi nel 1978 al Liceo Classico Dante Alighieri di Ravenna, si è laureata in Lingua e Letteratura Latina presso l’Ateneo bolognese nel 1985. Laureatasi anche in Lingue Moderne e Conservazione dei Beni culturali, oltre a inglese, francese e spagnolo, ha approfondito l’arabo con il corso triennale presso l’IsiAO, conseguendo il diploma nel 2009. Quasi contemporaneamente si è dedicata ad un corso di perfezionamento sull’organizzazione della città storica, del territorio e dei loro modelli di rappresentazione presso la Scuola Superiore di Bologna.

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