Numerosi i visitatori, fra ravennati e turisti appassionati d’arte, alla mostra “Levia Gravia” alla Fondazione Sabe per l’Arte di Ravenna, dedicata agli scultori ‘post moderni’ Valerio Anceschi e Luca Scarabelli, che fanno il loro esordio insieme. Dopo la vernice lo scorso 15 aprile, l’esposizione resterà aperta fino al prossimo 24 giugno nelle giornate di giovedì, venerdì e sabato dalle 16 alle 19, con ingresso libero.
Si tratta della quinta mostra della Fondazione, inaugurata nel novembre 2021 a pochi passi dal Mar con l’obiettivo di promuovere l’arte contemporanea con una particolare predilezione per la scultura. «Dopo tre mostre di scultura al femminile con artiste di diverse generazioni, abbiamo cambiato genere con due scultori differenti a livello stilistico che hanno accettato di mettersi a confronto, dando vita a un dialogo fuori dalla linea monografica, a una ricerca più concettuale e lirica», afferma il direttore artistico Pasquale Fameli, durante la recente presentazione al pubblico.
«Una mostra originale in cui credo perché credo nella validità degli artisti che conosco da tempo e ho sostenuto in altre occasioni – spiega il curatore della mostra, Francesco Tedeschi –. Qual è il punto di incontro tra i due autori? L’ossimoro “Levia Gravia”: cose pesanti che sono presentate in forma lieve e cose leggere che diventano pesanti a livello concettuale. La leggerezza è un po’ tipica della fine del Novecento che si associa, però, al farsi corpo delle opere. Nella mostra c’è sintonia tra i lavori degli artisti e un preciso collegamento con lo spazio».
Milanese classe 1975, diplomato a Brera, figlio e nipote d’arte (il nonno è Giovanni Anceschi, tra i fondatori dell’arte cinetica e programmata), Valerio Anceschi ama lavorare con materiali di recupero, per lo più ferro e scarti provenienti dalle fonderie, che prendono forma dalle sue elaborazioni. Le sue opere sono così leggere che sembrano sospese, quasi in movimento. Sono in gran parte a parete e quindi bidimensionali. I titoli scelti evidenziano l’atto di stupore di fronte a certe situazioni e alla leggerezza.
Scarabelli è nato a Varese nel 1965 e con all’attivo numerose mostre personali e collettive in Italia e all’estero, è un artista vulcanico, visto che realizza anche docufilm, performance musicali e libri d’artista. A differenza di Anceschi, preferisce usare oggetti finiti di recupero come cassette della frutta e copertoni delle biciclette che, opportunamente sistemati, assumono significati quasi metafisici e concettuali. Entrambi fanno parte del gruppo dei cosiddetti ‘nuovi lirici’.
«Il mestiere dello scultore è sempre più difficile – rivela Anceschi –. Anche per questo mi ha subito scaldato il cuore la possibilità di partecipare a una mostra di questo tipo. Mi sono divertito a confrontarmi con Luca e, alla fine, il risultato è quello che volevo». «Il confronto con lo spazio alla Fondazione Sabe è stato una sorpresa – racconta Scarabelli –, oltre le mie aspettative: un ambito ideale per questo confronto. Personalmente non mi piace definirmi: non sono uno scultore, non sono un pittore, non so cosa sono, ma ho tanti interessi che faccio fatica a stare dentro una sola categoria». Interessante è anche il loro rapporto con il colore. Anceschi usa molto il rosso, per vivacizzare, e il nero. Scarabelli invece ricopre di nero i suoi oggetti, conferendo loro oscurità e pesantezza. Significativa al riguardo è una sfera di pallone da calcio tagliata in due e ricoperta di nero, intitolata “La fine del mondo”, realizzata all’indomani dello scoppio della guerra in Ucraina l’anno scorso.
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Le opere saranno esposte nelle vetrine degli esercenti aderenti da venerdì 22 novembre a lunedì 2 dicembre.
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