Dopo il dramma dell’indifferenza, la beffa della delinquenza. «Quando siamo andati a recuperare la sua bicicletta, non c’era più. Gliel’hanno rubata. Mia madre l’aveva appoggiata dietro la panchina, chiusa a chiave». A denunciarlo Alberto Bernardi, figlio di Laura Angelini (83 anni), l’ex insegnante per oltre vent’anni alla scuola media Santi Muratori, che lunedì scorso si è sentita male in via Mazzini e che nessuno ha soccorso per mezz’ora.
In quei concitati momenti la donna si è accasciata su una panchina all’altezza della chiesa di Sant’Agata e, malgrado facesse fatica a respirare e a parlare, è riuscita – al quarto tentativo – ad avvisare uno dei figli. Ma la sua situazione è apparsa subito critica e la donna è deceduta poco dopo in ospedale per un infarto esteso al miocardio. Impossibile sapere come sarebbe andata se, in quei 30 lunghi minuti, qualcuno l’avesse soccorsa o semplicemente avesse chiamato il 118, guadagnando tempo prezioso.
E probabilmente dopo che la signora è stata portata via, forse nella notte, qualche balordo ha pensato di rubare la bicicletta, così cara all’ex insegnante che amava utilizzarla nelle belle giornate per raggiungere il centro storico dal borgo San Rocco dove abitava e dove mercoledì si è svolto il suo funerale. Non ci sono parole che possono in qualche modo alleviare la sofferenza, la rabbia, l’incredulità dei figli Alberto e Paolo Bernardi che Laura Angelini ha avuto dal marito Giuliano Bernardi, indimenticato baritono e scomparso prematuramente nel 1977 in un incidente stradale a soli 37 anni.
La lettera scritta da Alberto giovedì per denunciare la ‘tragedia dell’indifferenza’ a Ravenna, ha colpito come un pugno nello stomaco, soprattutto nelle sue parole finali: «In una bella giornata di sole di febbraio, mia madre se ne è andata per sempre tra l’indifferenza della sua città, quella città che amava e che non avrebbe cambiato con nulla e che invece l’ha tradita nell’unico momento in cui lei le ha chiesto aiuto».
Se n’è parlato molto a Ravenna in queste ultime ore sui social così come nei bar. Laura Angelini, fra l’altro, era una persona molto amata e apprezzata dai tanti suoi ex alunni e da tutti coloro che hanno avuto il piacere di incrociarla e conoscerla negli anni.
«Ho conosciuto tanti anni fa a scuola la professoressa Laura Angelini – scrive Ivano Mazzani –. Una persona solare, socievole, capace di buone relazioni con gli altri e sempre con questo bel sorriso che dava anche piacere all’incontro, come un raggio di sole che al mattino mette gioia quando ti risvegli, e il mio non è un eccesso».
Per poi esprimersi sull’accaduto: «Una persona che sta male in pieno centro storico con le persone che le passano a fianco e nessuno si ferma e prova a chiederle come sta e non telefona a un 118 e la lascia in agonia per 30 minuti, cosa dovrebbe dire a se stesso? Ma cosa faccio, in che mondo vivo, ma sono così disumanizzato, ho paura di tutto, ho dentro me una dose di cinismo tale, che chi mi sta vicino non è più una persona, ma un oggetto».
«Restiamo umani: tanto tempo fa un signore lo diceva anche sotto le bombe che ancora portano morte. Restiamo umani, riscopriamo una coscienza e un’umanità, senza questo non c’è civiltà né progresso né fondamenta di una comunità».
Tanti gli ex alunni che hanno salutato Laura Angelini sui social. «È stata la mia prof. La ricordo sempre elegante e gentile – scrive Sara B. L’ho rivista qualche anno fa, mi aveva riconosciuta e abbiamo chiacchierato molto…». «È stata la mia prof preferita alle medie – ricorda Alessandro T. – e ricordo come fosse oggi quando arrivavo con i capelli arruffati e lei mi chiedeva: “Alessandro hai fatto la lotta con il guanciale stanotte?”. Un bacio fin lassù dal tuo alunno e dal suo guanciale…».
Tanti anche i messaggi da parte di ex colleghi conoscenti. «Abbiamo condiviso la nostra via – scrive Giovanna M. – e le chiacchiere del mattino. Una grande e personale perdita». «L’ho conosciuta nel 1957, all’età di sette anni – ricorda Giuseppe M. –. Era la nostra vicina di casa, poi è diventata una cara amica di famiglia. Era speciale, brava, bella e buona».
In tanti, si sono poi spinti a raccontare esperienze analoghe di indifferenza, ma meno drammatiche, vissute personalmente o in presenza di familiari, alcuni al contrario episodi di solidarietà. Se la lettera del figlio Alberto ha colpito nel segno, la speranza è che domani Ravenna si scopra più attenta e più umana, in modo da cancellare al più presto quello che ci si augura sia stato un episodio. Nell’attesa di scoprirlo, un solo ultimo pensiero: “Cara Laura, scusaci tutti!”.
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