Alberto Marchesani: da Ravenna alla Namibia. «Correrò 250 chilometri nel deserto»

Dal 28 aprile al 4 maggio, la Namib Race è divisa in 5 tappe diurne e una notturna. «Correre per centinaia di chilometri in mezzo al deserto permette di toccare cose che solitamente, nella zona di comfort, non si riescono a comprendere. Zone personali. In quei momenti sento una sensibilità maggiore e penso a tutte le cose personali della vita, del mondo»

Alberto Marchesani

Sta per partire per la Namib Race il 46enne ravennate d’adozione Alberto Marchesani, dove correrà per 250 chilometri in 6 tappe tra il 28 aprile e il 4 maggio nel Deserto del Namib.

Nella vita fa il giornalista ed è socio fondatore di TuCo Tutta la Comunicazione, ma le maratone estreme sono per lui una passione irrinunciabile. Nel 2022 si è misurato anche con la nostrana 100 km del Passatore tra Firenze e Faenza. Ma la sua vera vocazione è per le corse su più giorni, divise in tappe, in luoghi remoti della Terra.

La corsa in autosufficienza

«Questo tipo di corse sono chiamate corse in autosufficienza, dove ci si porta nello zaino tutto l’occorrente per l’intera durata della gara – spiega Marchesani -, tranne in genere l’acqua fornita nei check-point e la tenda per dormire la notte. Non è solo una faticaccia a livello fisico, ma richiede una buona dose di adattamento fisico extra running e una buona organizzazione in fase di preparazione».

Negli ultimi anni, ad esempio, ha corso la Marathon des Sables, leggendaria corsa di circa 250 km nel deserto del Marocco, dove si è classificato al 300 esimo posto, su un totale di 1.060 partecipanti da una quarantina di Paesi di tutto il mondo. Ma, nel suo personale “carnet”, vanta anche la partecipazione alla maratona in Siberia a Omsk, nel 2015, poi a quella nel deserto dell’Oman, dall’Oasi di Bidya al Mar Arabico nel 2017, e la Fire& Ice Ultre Marathon, in Islanda fra geyser, ghiacciai e distese di lava e temperature molto diverse.

«Un corridore francese ha corso 36 volte la Marathon des Sables e ha scritto un libro che si chiama “Dalla passione all’ossessione”. Condivido questa visione perché mi rendo conto che la corsa è una sorta di malattia. E poi è anche la cura a quella malattia. Ogni volta che si arriva al traguardo, dopo due minuti si è già lì a programmare le prossime sfide», racconta.

Generalmente ci vuole circa un anno a recuperare da questo genere di competizioni. Dunque, la maggior parte degli atleti corre ogni due anni. Ci si allena prima correndo fino all’80% di quelli che saranno i chilometri della gara, poi pian piano si va a calare per conservare le forze. La Namib Race è composta da 5 tappe diurne, partendo alla mattina, e una notturna, che si può decidere se correre in due momenti o in uno solo.

«Correndo in mezzo al deserto di notte, si toccano zone di sensibilità a cui nella vita quotidiana è impossibile arrivvare»

«Io generalmente preferisco correre la tappa notturna di filata – racconta -, perché è lì che si ha maggiore contatto con la natura circostante e interiore. Si pensa a tutto. Anche perché queste gare non si fanno mai con qualcuno, è impossibile trovare qualcuno con il proprio passo. Perciò si è in totale solitudine e si pensa a tutto. Si pensa a tutte le cose personali della vita, del mondo»

Un momento indimenticabile per Alberto Marchesani è quando alla Marathon des Sables, proprio davanti a lui ha visto sorgere la via Lattea. «In questo tipo di corse uno va proprio per fare l’esperienza, non interessa quasi a nessuno il risultato. Non so nemmeno se venga pubblicato», spiega.

«Correre per centinaia di chilometri in mezzo al deserto – racconta Marchesani – permette di toccare cose che solitamente, in pace, nella zona di comfort, non si riescono a comprendere. Non si toccano mai. Zone personali. In quei momenti sento una specie di sensibilità maggiore, un sentimento primordiale».

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