15 Nov 2023 18:13 - Cinema
Yuri Ancarani: «Quando finisce il film: è lì che inizia “Il popolo delle donne”»
Artista di Ravenna che vive a Milano, si muove agilmente tra cinema, documentario e videoarte, sfuggendo a ogni definizione. "Il popolo delle donne" è il suo ultimo film. Nei dintorni sarà al Mariani il 16 novembre, al Gulliver di Alfonsine il 23 e poi al Sarti di Faenza l'11 dicembre
di Lucia Bonatesta
Yuri Ancarani è un artista di Ravenna che vive da molti anni a Milano; si muove agilmente tra cinema, documentario e videoarte, abbattendo le barriere che vorrebbero tenerli separati. Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia nelle “Giornate degli Autori”, “Il popolo delle donne” è il suo ultimo film, al cinema dal 13 novembre.
La protagonista è Marina Valcarenghi, psicoterapeuta e psicoanalista, che per prima ha introdotto la psicoanalisi in carcere, lavorando per più di un decennio nei reparti di isolamento maschile, con detenuti in gran parte condannati per reati di violenza sessuale. Nel film tiene una lezione che evidenzia il rapporto fra la crescente affermazione sociale delle donne e l’aumento della violenza sessuale maschile.
A Ravenna e dintorni, Yuri Ancarani e “Il popolo delle donne” saranno al Mariani il 16 novembre, al Gulliver di Alfonsine il 23 e poi al Sarti di Faenza l’11 dicembre. Nel 2022 era stato al Cinema della Rocca Brancaleone con “Atlantide”.
Ancarani, è appena iniziato il tour nei cinema del suo ultimo film. Come si sente?
«Ieri sera (ndr. 13 novembre, giorno di uscita) abbiamo festeggiato, ora sono un po’ senza voce. È stato bellissimo. C’era una sala piena di giovani con età media tra i 20 e i 30, c’era un’energia bellissima. Purtroppo delle persone sono dovute tornare a casa».
Che cos’è “Il popolo delle donne”?
«Quando finisce il film, è lì che parte “Il popolo delle donne”: nella conversazione, nel dibattito, nel non essere d’accordo o nell’essere d’accordo che poi se ne parla. E allora succede che chi non lo ha visto, lo vuole andare a vedere; è un film che ha bisogno di tempo e passaparola».
Come mai ha deciso di fare un film che parla di violenza sulle donne?
«È un tema molto importante per l’Italia e in generale. Se ne parla sempre molto male, perciò prima o poi andava fatto. È un tema pericoloso, complicato, dove spesso chi vorrebbe avvicinarsi lascia perdere, perché crea attrito, dibattito e incomprensioni. Nonostante sia un tema molto importante, viene lasciato ai margini per questo. Poi interessa anche gli uomini, che sono i protagonisti; quindi riguarda tutti».
È nato dall’incontro con Marina Valcarenghi o ci pensava già prima?
«Era già da tempo che pensavo a questo tema, perché nei miei viaggi all’estero mi sono accorto che noi abbiamo una percezione un po’ particolare. Mi dicevo che prima o poi mi sarebbe interessato approcciarmi a questo problema, ma non sapevo come. Ogni volta che ragionavo su come costruire un progetto di questo tipo, se pensavo a un documentario tradizionale con le interviste, temevo che potesse suscitare nello spettatore pena o rabbia; mentre se fosse stato un film di finzione, avrebbe suscitato morbosità. Poi, quando ho conosciuto Marina e abbiamo affrontato il tema per altri motivi, ho notato che lo spiegava in modo molto semplice, lucido e chiaro. Allora mi sono detto che era il momento per lavorarci ed è nato “Il popolo delle donne”».
Il suo modo per affrontare il tema dunque è una lezione, con intento didascalico?
«Sì, perché bisogna correggere i comportamenti di entrambi i ruoli. Noi viviamo in dei cliché, che dobbiamo mettere in discussione».
Lo porterà nelle scuole?
«Sicuramente ci interessa e piano piano ci arriveremo. Abbiamo fatto in Valle d’Aosta un primo incontro con gli studenti del liceo ed è andato molto bene. Pensiamo di andare avanti anche con le scuole in futuro. Ora lo portiamo nelle sale, mentre prima ancora era stato in un museo, al PAC (ndr. Padiglione di Arte Contemporanea) di Milano, durante la mostra “Lascia stare i sogni”».
Però al museo era in una versione più breve, giusto?
«Sì, essendo in un museo ed essendo il tema così ampio, di cui bisognerebbe parlarne ogni giorno, da un certo punto di vista ci spaventava. Noi comunque l’abbiamo fatto, in una maniera più ristretta e la sala era sempre piena, con il passaparola ha avuto successo. Da lì allora abbiamo preso coraggio, abbiamo deciso di ampliarlo e così è nato il progetto film».
Ed è poi stato presentato alla Mostra del Cinema di Venezia.
«Esatto».
Parlando di Venezia, “Il popolo delle donne” ha un setting molto semplice ed è la parola protagonista; al contrario di quanto accadeva con “Atlantide” — ambientato a Venezia — dove erano protagoniste le immagini e la musica, e c’era solo una parola ogni tanto. Come mai?
«Sì, è l’estremo opposto di “Atlantide”. Il film è semplicissimo, scarno, tutto incentrato per dare nel miglior modo possibile l’attenzione alla ricerca di una vita di Marina».
Nel “Popolo delle donne” c’è anche una parte ad una manifestazione. Lei è stato al G8 di Genova del 2001. C’è un rapporto tra le due manifestazioni?
«Il G8 di Genova è stata la prima volta in cui mi sono presentato ad una manifestazione con una telecamera. Facevo parte di un collettivo e il girato veniva donato al collettivo, che avrebbe fatto un progetto sul G8. Ho vissuto la manifestazione con grande intensità ed è un invito alle nuove generazioni a continuare a manifestare. Manifestare per i propri diritti è fondamentale».
Nei suoi film c’è una grande attenzione alla musica. Questa volta ha scelto Caterina Barbieri. C’è un motivo?
«Quando monto, ascolto sempre della musica e c’era questo pezzo di Caterina stupendo che si chiama “Fantas For Electric Guitar” e che amplificava la concentrazione nel seguire sia la voce di Marina sia il montaggio del film. Ci siamo sentiti, le è piaciuto il progetto, poi siamo andati insieme alla Mostra di Venezia ed è stata una festa».
Nel suo film precedente, “Atlantide”, parlava di Venezia. Com’è stato tornarci? È cambiata la sua percezione della città?
«Io Venezia l’ho sempre vista così, “Atlantide” è stato un modo per far vedere agli altri Venezia come la vedevo io. Il film ha dato la possibilità di sognare o vedere una città che riteniamo sia in qualche modo morta o ferma nel passato; mentre invece continua a raccontare storie e creare nuovi immaginari».
C’è poi un grande accento su Venezia in quanto laguna e non città…
«Ecco, la laguna è stata una scoperta che ho fatto con “Atlantide”, prima non la frequentavo. Quando andavo a Venezia, stavo in città e camminavo; avevo già studiato il fenomeno dei barchini, però non avevo capito che per rispettare la città dovevi partecipare alla vita di laguna. Quella è stata una scoperta e ora mi piace vivere le isole come fanno i veneziani».
Il suo lavoro è indefinibile, lei lo chiama spesso “immagini in movimento”. Che cosa significa?
«Muoversi tra i diversi tipi di linguaggio è molto divertente. Sono sempre all’interno di un medium, che è quello dell’audiovisivo, ma poi lì dentro mi muovo liberamente. Ed è bellissimo. In base al progetto e alle mie esigenze scelgo il linguaggio migliore possibile per me. Mi piace demolire i confini dei generi».
Lei è nato in Romagna, ma da molti anni vive a Milano. Cosa le ha lasciato l’una e cosa l’altra?
«Io torno spesso a Ravenna, mi piace spostarmi e lavorare a Ravenna. La Romagna bizantina e la Milano longobarda sono due mondi completamente diversi. Secondo me, Milano mi ha insegnato ad essere più disciplinato nel lavoro, ma l’atto della creazione e come approcciarmi al mondo alla ricerca è nato sicuramente in Romagna».
Ha avuto dei maestri? Se sì, chi sono?
«Ho avuto solo dei cattivi maestri, che forse sono i migliori maestri. Non ho fatto un percorso lineare, ho sempre cambiato ambito e fatto i percorsi più disparati. Sicuramente il maestro più riconosciuto è Maurizio Cattelan, che ho conosciuto quando è iniziato il progetto “Toiletpaper”, dove facevo parte del gruppo di lavoro. È stato sicuramente un momento che mi ha influenzato tanto. Mi ha fatto comprendere un sacco di cose che poi ho messo nel mio lavoro: il fatto che l’approccio è energia, come creare un progetto, seguirlo e portarlo avanti».
Qual è stata un’esperienza che si è poi rivelata un punto di svolta?
«Tutti i momenti di crisi sono stati dei momenti di svolta. Tutti i momenti dove sembrava che si dovesse gettare la spugna, poi c’è stato un grandissimo ribaltone. Ci sono stati tantissimi ribaltoni nei momenti peggiori. Capitano a tutti, quindi invito tutti a toccare il fondo ogni tanto».
Ha già qualche progetto futuro?
«Al momento, mi sono liberato (ndr. dai progetti) per poter essere attivo in questo tour e che mi porterà in giro per le provincie e la città, nei cinemini più piccoli e sconosciuti, a far conoscere la voce di Marina Valcarenghi e de “Il popolo delle donne”».
Infatti ho visto che sarà anche ad Alfonsine…
«Sì, grande, saremo anche ad Alfonsine, come a Longiano e Sant’Arcangelo. Alfonsine sarà la miglior proiezione del tour, me lo sento».