Questo percorso viene motivato dal fatto che una legge dello Stato, firmata dall’allora Ministro Carlo Calenda, impose un accorpamento di tutti gli Enti camerali italiani per una condivisibile ottimizzazione dei costi, lasciando giustamente le modalità e le scelte a coloro che amministrano e coordinano gli aspetti politici ed economici dei singoli territori. Ed è così che, anziché aver optato per un unico Ente Camerale della Romagna costituitosi già alcuni anni fa tra Forli-Cesena e Rimini, con la benedizione del Presidente della Regione Emilia Romagna, Ravenna si trova catapultata in un comprensorio distante sia dal punto di vista culturale e storico, sia da quello delle rappresentanze economiche.
Questa “appartenenza” romagnola che vede una moltitudine di imprese ravennati legate al turismo, all’arte, alla cultura e all’agro alimentare, anziché trovarsi al centro della Romagna, verrà invece collocata ai margini del Delta del Po, da sempre identitario della provincia di Ferrara. Probabilmente anche le industrie più strutturate e legate alla portualità avrebbero trovato nell’ente camerale romagnolo una identità più naturale e maggiori sinergie in una Camera di Commercio nella quale sono presenti aziende della Provincia di Rimini e di Forlì-Cesena, certamente più prossime a quei corridoi logistici che si stanno realizzando per facilitare le esportazioni e le importazioni di merci e di manufatti in sinergia con il Porto ravennate.
Non ci è dato sapere i veri motivi di questa decisione e l’impossibilità di creare un ponte che potesse portare la Camera di Commercio di Ravenna verso la naturale unificazione con quella della Romagna, ma certamente non è pensabile che questa fosse l’unica soluzione possibile. È sufficiente osservare cosa stanno facendo le stesse rappresentanze economiche, cooperativistiche ed imprenditoriali delle aziende sopra richiamate, Confindustria in testa, le quali, pur in mezzo ad alcune difficoltà, sono orientate e lavorano in direzione opposta a quella intrapresa dalla Camera di Commercio.
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