Polytropos – dal multiforme ingegno – è l’attributo con cui Omero introduce l’eroe protagonista nel primo verso dell’Odissea. Ma chi è Ulisse? “Un uomo che attraversa le esperienze più diverse,” risponde il maestro Pier Luigi Pizzi, “dal grande amore per Penelope, alla guerra, fino alla serie di prove che deve affrontare per tornare a Itaca, non solo dalla moglie, ma anche da Telemaco”. Ed è proprio il tema del ritorno al centro del titolo che apre la nuova Trilogia d’Autunno di Ravenna Festival, dal 15 al 19 novembre al Teatro Alighieri.
Venerdì 15 novembre, alle 20, Il ritorno di Ulisse in patria di Claudio Monteverdi è infatti la prima delle due nuove produzioni al debutto (replica lunedì 18), accanto alla dedica a Purcell con Didone e Enea nel giorno di Santa Cecilia, in scena sabato 16 e martedì 19, sempre alle 20. Per entrambi i titoli, la raffinata regia di Pizzi incontra la sapienza musicale di Accademia Bizantina e Ottavio Dantone. Al centro di questo dittico che ha per protagonisti Ulisse ed Enea, “eroi erranti in cerca di pace” come vuole il titolo della Trilogia, c’è Beyond | Orliński, il recital di Jakub Józef Orliński con l’ensemble Il Pomo d’Oro (17 novembre alle 15.30), una preziosa occasione per ascoltare dal vivo la voce celestiale del controtenore che ha conquistato il pubblico e la critica internazionale.
La Trilogia d’Autunno 2024 è realizzata con il sostegno del Ministero della Cultura e della Regione Emilia-Romagna e il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna; Eni è partner principale di Ravenna Festival.
“Il ritorno di Ulisse in patria rappresenta un caso fortunato di opera costruita su un libretto, quello di Giacomo Badoaro, veramente molto bello, poetico, efficace e chiaro tanto da rendere naturali, addirittura logiche, le ‘interferenze’ degli dei nel dipanarsi della vicenda umana – sottolinea Pier Luigi Pizzi, che cura anche scene e costumi (sono invece di Oscar Frosio le luci) – E uno dei momenti più toccanti e belli dell’intera opera è la scena in cui padre e figlio si ritrovano. In essa scorre qualcosa che non si deve spiegare, un amore assoluto e naturale, che non ha bisogno di prove. Mentre Penelope per ritrovare la passione sopita da anni ha bisogno di certezze, non si fida, pretende la prova. La sua resistenza ai Proci, la sua fedeltà sono un segno di onestà e di rispetto per un sentimento che considera unico: dentro di sé non può più ritrovare le ragioni della passione, il miracolo dell’amore è per lei irripetibile.”
“Trovo che nell’Ulisse vi sia una grande coerenza di scrittura – nota Ottavio Dantone, che guiderà Accademia Bizantina, giunta al quarantesimo anno di splendida attività – Una coerenza che si manifesta, però, nella diversità dello stile musicale affidato a ciascun personaggio. Monteverdi è abilissimo e dimostra un perfetto senso della drammaturgia musicale. Penelope si esprime quasi sempre in uno stile declamato e severo, Ulisse invece possiede due registri diversi: nelle vesti di mendicante intona melodie di carattere ‘basso’, quasi popolaresco, come Melanto ed Eurimaco, ma quando rivela le vesti dell’eroe canta in uno stile più aulico ed elevato. Non solo: l’attitudine, molto barocca, per la varietas porta Monteverdi a ricorrere talvolta a una vocalità di tipo madrigalistico, ossia ad uno stile molto più arcaico, ad esempio nelle scene riservate ai Proci. Questa capacità di maneggiare con sicurezza e persino spregiudicatezza gli stili più diversi imprime all’Ulisse, secondo me, una straordinaria modernità teatrale.”
È con il lamento di Penelope che si apre l’opera di Monteverdi su libretto di Giacomo Badoaro (la versione critica utilizzata a Ravenna è quella curata da Bernardo Ticci). Poiché l’argomento era sufficientemente noto, il titolo che debuttò per il Carnevale del 1640 al Teatro Santi Giovanni e Paolo poteva reggere un esordio in medias res.
Accanto al trittico dei protagonisti umani (Ulisse è Mauro Borgioni, mentre Penelope e Telemaco sono rispettivamente Delphine Galou e Valerio Contaldo) figurano le divinità, ovvero il Giove di Gianluca Margheri, il Nettuno di Federico Domenico Eraldo Sacchi, la Minerva di Arianna Vendittelli e Giunone di Candida Guida. Senza contare le personificazioni della Humana Fragilità (Danilo Pastore), del Tempo (Gianluca Margheri), della Fortuna (Chiara Nicastro) e di Amore (Paola Valentina Molinari). Fra i mortali, accanto ai Proci – interpretati da Federico Domenico Eraldo Sacchi, Danilo Pastore, Jorge Navarro Colorado e Žiga Čopi – e alle donne al servizio di Penelope (la nutrice Ericlea, ovvero Margherita Sala, e l’ancella Melanto, cioè Charlotte Bowden), figurano il fedele porcaro Eumete (Luca Cervoni) e Iro (Robert Burt), un mendicante che è anche il primo personaggio comico di Monteverdi.
Info e prevendite 0544 249244 www.ravennafestival.org
Previsti sovratitoli; inoltre, con l’app gratuita Lyri sottotitoli e trama del libretto sono disponibili in diretta su smartphone
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