Dopo quasi un anno e mezzo si sono chiuse le indagini sull’inchiesta sul racket dei funerali. Secondo la Procura, si tratterebbe di un’associazione a delinquere, volta alla corruzione e ad accaparrarsi i funerali di pazienti defunti. Gli indagati sono in tutto 37.
Tra le persone coinvolte c’è un ex dipendente Ausl, addetto dell’obitorio di Faenza, che era finito in carcere. Ai domiciliari invece altri quattro operatori delle camere mortuarie di Faenza e Lugo e un impresario di pompe funebri. Per altri dieci titolari di onoranze funebri, sparse sui territori del Faentino e del Lughese, erano scattate interdizioni all’attività professionale fino a un anno. Molti degli indagati sono dipendenti delle stesse imprese funebri che, secondo l’accusa, avrebbero messo in piedi un business sulla pelle dei defunti, insieme ad alcuni dipendenti Ausl.
Stando alle indagini, ci sarebbe stato un sodalizio tra alcuni addetti alle camere mortuarie e imprese funebri. Gli addetti alle camere, in cambio di danaro dalle imprese funebri, avrebbero fornito servizi come la preparazione e la vestizione delle salme, usando mezzi del servizio sanitario nazionale. Inoltre avrebbero segnalato alle pompe funebri amiche le ‘salme libere’, cioè per le quali i parenti non avevano ancora dato indicazioni. Avrebbero assegnato le camere ardenti migliori a loro vantaggio e avrebbero assunto atteggiamenti di ostruzione verso le pompe funebri che non facevano parte dell’associazione.
La Procura di Ravenna aveva stimato il giro d’affari di circa 100 mila euro all’anno, con guadagni per ogni singolo addetto compiacente quantificati in 15-20 mila euro. Le imprese di onoranze coinvolte potevano allo stesso tempo arrivare a risparmiare sui costi circa il 50-70%.
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