Nella disastrosa e indecorosa vicenda della CoFaRi c’è chi, oltre al danno della decurtazione dei salari e alla perdita della quota sociale versata, dopo avere subito il licenziamento, ora si vede negato il diritto al lavoro.
E’ il caso di un lavoratore assunto da CoFaRi a gennaio del 2023. Malgrado l’evidente dissesto della cooperativa, i suoi amministratori non si fecero scrupoli a proporre l’occasione di lavoro, previa sottoscrizione dell’onerosa quota sociale (procacciare liquidità facendo nuovi soci era evidentemente diventata la mission disperata della cooperativa).
Trovandosi in stato di disoccupazione e non avendo liquidità sufficiente, il lavoratore richiese all’INPS l’anticipo dell’indennità di disoccupazione (NASpI) per potere versare la quota sociale alla cooperativa.
Ottenuto l’anticipo per tutto il periodo del diritto all’indennità disoccupazione (che sarebbe terminata a gennaio 2025) e divenuto socio-lavoratore della cooperativa, il lavoratore si è trovato coinvolto nella crisi del ramo traslochi, con lunghi periodi di inattività, subendo poi il licenziamento collettivo avvenuto a fine aprile 2024. Come altri lavoratori ha firmato una conciliazione tombale con l’assistenza dei sindacati confederali che non hanno avuto alcun riguardo per la sua particolare posizione.
Senza più lavoro, consultato gli operatori dell’INPS, il lavoratore infatti, non solo ha saputo di non avere diritto ad una nuova disoccupazione, ma ha scoperto che non potrà accettare altri rapporti di lavoro fino a gennaio 2025 (data in cui terminerà, appunto, il diritto alla NASpI anticipata), pena la restituzione dell’intera indennità di disoccupazione precedentemente erogata e investita nella quota versata alla cooperativa, che più verrà restituita.
Il motivo risiede nella legge che disciplina l’anticipo della NASpI: norma che però è stata censurata dalla Corte Costituzionale (con la sentenza n. 90 del 2024) proprio nella parte in cui prevede l’obbligo restitutorio integrale, senza una valutazione del caso concreto, ovvero del caso in cui il lavoratore abbia dovuto interrompere l’attività per cause a lui non imputabili.
Richiamandoci alla sentenza, abbiamo quindi interpellato l’INPS perché esaminasse il caso dell’ex socio della CoFaRi per verificare la possibilità di potere riprendere il lavoro, unica fonte di sussistenza, senza dovere restituire l’intera NASpi, di fatto persa nella crisi della cooperativa.
Sentita la loro Direzione Centrale, in questi giorni l’INPS di Ravenna ha confermato che anche al lavoratore licenziato da CoFaRi, nel caso riprendesse a lavorare, sarà contestato “l’intero indebito relativo all’anticipazione” e questo perché, ancora oggi a cinque mesi dalla sentenza, il Ministero del Lavoro non si è espresso sulla bozza di circolare dell’Istituto che recepisce le censure della Corte Costituzionale.
Come ci ha voluto sottolineare il già sindacalista della CGIL, poi rappresentante della Lega Coop, ed ora nuovo responsabile del personale di Elle Emme (società che ha rilevato la cooperativa), con la sottoscrizione della quota sociale il socio deve sapere che si assume il rischio d’impresa e se l’impresa va male non ci si può troppo lamentare.
Un rischio che, a dire il vero, tanti lavoratori di CoFaRi sono stati obbligati ad assumersi per potere lavorare, ma che mai si pensava potesse anche negare il diritto a ricercare un nuovo lavoro.
Per questo, mentre prosegue la vertenza collettiva con la convocazione dell’assemblea dei lavoratori per riferire dell’esito negativo dei confronti avuti con Lega Coop e Elle Emme e avviare le ormai inevitabili azioni sindacali, il Sindacato Generale di Base, oltre a denunciare l’irragionevole ritardo del Ministero del Lavoro nel parere sulla circolare INPS, assisterà il lavoratore per il risarcimento del danno subito dalla CoFaRi e dai suoi amministratori che, pur di fare cassa con nuovi soci, gli hanno negato di fatto il diritto al lavoro.
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