07 Giu 2022 10:17 - Interviste
Paolo Migone e la sua comicità ‘pop’ con cui si diverte a portare in scena l’eterno gioco dell’amore tra uomini e donne
Il comico di Zelig va in scena alla rassegna estiva del Teatro comunale di Conselice, ci ha raccontato come ha affrontato la pandemia e le prospettive future
di Roberta Lodisco
«L’interesse risale alla mia esperienza a “Zelig”, dove furono proprio i registi Gino e Michele a chiedermi di portare in scena le questioni uomo-donna, il matrimonio e le difficoltà del vivere insieme. Così, ho iniziato ad approfondire queste tematiche che successivamente ho trasformato da piccoli sketch a veri e propri spettacoli teatrali, finendo anche con il rimanerne ingabbiato, ahimè».Da cosa prende maggiormente ispirazione per la realizzazione di questi spettacoli?
«Sono partito da me e dalle mie esperienze personali, ma anche da quelle di amici e di persone che ho conosciuto, ma sempre dal vero, perché con il tempo ho scoperto che la finzione fa meno ridere, la gente si deve riconoscere nel comico, deve trovare del vero per ridere».Come ha vissuto questo periodo di pandemia con il blocco del mondo dello spettacolo?
«Ero diventato un pensionato senza pensione, è stato molto doloroso. Faccio questo lavoro da trent’anni e trovarsi per due anni e mezzo senza rete è difficilissimo. Mi sono anche molto preoccupato, perché noi artisti siamo persone fragili sia dal punto di vista economico che emotivo, ma adesso ho un’estate bella piena di eventi e spero di poter recuperare».Si ricorda il momento in cui le è scattato l’interesse per questo lavoro?
«Sì, stavo studiando agraria all’università e mi annoiavo tantissimo. Ho dato 21 esami ma non mi sono mai laureato. La gente mi veniva a vedere agli esami per ridere. I miei professori mi dicevano: “lei deve fare l’attore!”. Mi consigliavano di lasciare l’università e di andare a Roma a fare l’attore. Alla fine, quelle parole le ho seguite. Inizialmente è stato abbastanza traumatico ma per me è stata una rivelazione scoprire che nella comicità ero molto più forte che in agraria».Cosa pensa della comicità in tv oggi?
«Questo è un periodo duro per un giovane che sta cercando cose nuove. Al sud molti comici usano sceneggiare le barzellette, ma personalmente ci vedo un’aria un po’ stanca. Al nord sono troppo celebrali, troppo incattiviti perché le città stesse portano a incattivirsi molto, così tutto diventa critica e lamentela. Il cabaret è in una fase molto delicata, sta morendo un modo di far ridere ma ne deve ancora nascere un altro. I giovani non seguono più la televisione, c’è internet e deve succedere qualcosa di nuovo… Non so ancora cosa ma spero vivamente che si cambi marcia. In questo momento i giovani copiano i vecchi e fanno sempre un po’ peggio, senza anima, ma questa forse è la tipica frase di un 66enne, magari è una visione non realistica. Ma il cabaret con i piccoli sketch al timer secondo me è destinato a morire, si troverà una nuova formula ma ancora non so cosa».Ha altre idee per il futuro?
«Negli ultimi anni ho iniziato a sviluppare anche lavori più complessi come Don Chisciotte o Beethoven non è un cane, con cui sono andato in scena qualche giorno fa, dove recito la parte di un dj di musica classica. Mi sono divertito molto, anche se è risultato più complicato rispetto ai miei soliti spettacoli, ma anche in questo un’artista deve difendere le sue idee e esplorare nuovi temi, e il teatro solitamente permette di farlo. Spettacoli ben diversi rispetto ai miei abituali che solitamente faccio in estate, nelle piazze o nei villaggi, una comicità un po’ più ‘pop’ e da battaglia».