29 Ott 2023 09:47 - Cervia
Eraldo Baldini ricorda le origini europee di Halloween: «Un tempo magico, di ritorno dei morti»
Secondo il noto scrittore e studioso ravennate: «Bisogna partire dalla consapevolezza che le tradizioni non sono immutabili, né eterne, né fisse in un posto. Hanno la capacità di migrare, di contaminare varie popolazioni e di modificarsi».
di Lucia Bonatesta
Che Halloween sia una festa misteriosa lo sanno tutti, ma prima ancora che per suoi fantasmi e le sue streghe, lo è per le sue origini che sono europee. Per anni giornalisti e intellettuali hanno discusso se fosse opportuno o meno festeggiare questa ricorrenza considerata “pagana” e “importata dagli Stati Uniti”. Come tutti i misteri, però, anche le origini di Halloween riservano qualche sorpresa.
Per far luce sulla storia di Halloween non si poteva non interpellare Eraldo Baldini, ravennate, ricercatore e studioso del folklore, nonché scrittore dalle ambientazioni gotiche, misteriose, rurali e superstiziose. Eraldo Baldini, insieme a Giuseppe Bellosi (ndr, tra i più noti autori ravennati) nel 2006 ha pubblicato il saggio “Halloween. Nei giorni che i morti ritornano” (Einaudi). Recentemente, il libro è stato ampliato e ripubblicato da “Il Ponte Vecchio” con il titolo “Halloween. Origine, significato e tradizione di una festa antica anche in Italia”.
Baldini, da dove arriva la festa di Halloween?
«Bisogna partire dalla consapevolezza che le tradizioni non sono immutabili, né eterne, né fisse in un posto. Quindi hanno la capacità di migrare, di contaminare varie popolazioni e di modificarsi nelle forme e a volte anche nei significati con il mutare delle condizioni storiche. Questa festa in particolare è antichissima, forse una delle più antiche d’Europa, presente anche in Italia. Sicuramente è pre-celtica, anche se viene attribuita ai Celti. Loro sicuramente più di ogni altro l’hanno conservata nel tempo, mentre altrove è cambiata o scomparsa».
Ha detto che è una delle feste più antiche d’Europa, però molti credono che arrivi dall’America. Come mai?
«Questa festa si è diffusa in America con le grandi migrazioni di metà dell’Ottocento di popolazioni indoeuropee, quando soprattutto Irlandesi e Scozzesi si sono trasferiti oltreoceano. In questo modo, Halloween ha preso piede ed è diventata molto nota, anche se non è mai stato un giorno festivo. Nel momento in cui questa festa si diffonde in America, in molte parti d’Europa è declinata diversamente, anche sotto la spinta della cristianizzazione, che vi ha sovrapposto Ognissanti e il Giorno dei Morti. Dagli anni ’60 del Novecento in poi si comincia a parlare di Halloween anche in Italia, in un momento in cui se n’era persa memoria. Per questo, molti hanno pensato che fosse una festa americana».
Com’è arrivato Halloween in Italia negli anni Sessanta?
«Il ritorno di Halloween in Italia, con questo nuovo nome – che poi è solo la contrazione di “All Hallows’ Eve”, cioè significa “Vigilia di Tutti i Santi” – passa attraverso alcuni canali. Innanzitutto si comincia a insegnare massicciamente inglese nelle scuole e spesso gli insegnanti portano esempi relativi ad Halloween. Poi un secondo veicolo è la pubblicazione della rivista Linus, dove le vignette americane, come quelle di Shulz (ndr, i Peanuts) presentano questa festa. In italiano, tra l’altro, viene chiamata “Il Grande Cocomero”, confondendo la zucca con il cocomero. Poi piano piano diventa una celebrazione diffusa anche da noi, soprattutto grazie all’elevato gradimento dei bambini, che avevano perso centralità nelle tradizioni della cultura popolare. Con Halloween se ne riappropriano e la trovano particolarmente stimolante per le atmosfere oscure e leggendarie che si porta dietro».
Gli studiosi hanno sempre saputo che non era una festa “americana”?
«Gli antropologi culturali, gli etnografi e gli storici sapevano benissimo che in tutte le regioni italiane c’erano rituali di questo genere: dalle zucche intagliate, alla questua dei bambini, al clima inquietante che si aveva quella sera quando ci si trovava a raccontarsi storie dell’orrore».
Che cos’era dunque Halloween per i nostri antenati?
«Era un capodanno agrario europeo, che cadeva nel momento in cui, finiti tutti i raccolti, si ricominciava con la semina. Ogni festa di capodanno implica l’instaurazione di un tempo magico, che si riteneva aperto al ritorno dei morti per 12 notti, da Halloween a San Martino, 11 novembre. Quindi il ritorno dei morti implica questo contatto con un aldilà con personaggi degli inferi, che vengono impersonati dai bambini che vanno di casa in casa. I morti, rappresentati dai bambini, devono ricevere un’offerta e in cambio manterranno la loro promessa di protezione sui vivi, sulle famiglie e sui campi».
Quindi in qualche modo è una festa religiosa?
«Sì, era una festa religiosa, che non ha niente di satanico; anzi, è un grande esorcismo collettivo contro la dimensione delle tenebre».
Tra i riti di Halloween, in Romagna abbiamo la Piligrèna. Può spiegare che cos’è?
«La Piligrèna è un nome che ha tanti significati. Rappresenta sia la zucca intagliata con il lumino dentro, sia il fuoco fatuo. È un elemento che in realtà si riscontra in molte regioni d’Italia, sotto altro nome, anche in quelle senza dominazione celtica, come Abruzzo, Molise e Puglia. Questo significa che non è solo un elemento culturale celtico, ma qualcosa di molto più ampio e più antico».
Quali sono i mostri della tradizione romagnola?
«Come ogni popolazione, anche i romagnoli hanno un loro pantheon del fantastico e spesso queste figure nascono per dare un volto e un nome anche agli elementi naturali, non solo soprannaturali. Ad esempio c’è la Borda che è quasi una personificazione della nebbia, del pericolo dell’elemento acquatico. Nelle popolazioni antiche non c’era un confine netto tra naturale e sovrannaturale, c’era una concezione animistica. Tutti gli elementi della natura avevano una sorta di spirito. Sono tantissimi i personaggi: c’erano leggende di draghi, streghe e orchi. Molti elementi non sono prettamente romagnoli, i confini in questo campo non ci sono. Di specificità romagnole ce sono poche, gli stessi elementi si ritrovano con nomi e attribuzioni diversi in molti luoghi europei».