10 Mar 2024 09:39 - Cronaca
Al Cas di Fabriago c’è aria di casa, nonostante le difficoltà. Le storie di Youssef e Hamza
Il centro accoglienza per migranti nel Lughese ospita attualmente 25 minori. Il coordinatore Stepaniuc: «Anche se il sistema non lo prevede, per noi è fondamentale che qui si sentano a casa, imparino l'italiano e facciano qualche esperienza spendibile in un curriculum»
di Lucia Bonatesta
Pochi giorni fa Youssef, un giovane egiziano dall’aria simpatica, che parla un dialetto arabo strettissimo e poche parole di italiano, ha compiuto 18 anni. Da qualche mese è ospite al Cas di Fabriago – Centro di accoglienza straordinaria per minori nel Lughese – insieme ad altri 24 giovani migranti, ma presto dovrà lasciare la struttura. Sarà trasferito a Ravenna e dovrà cercare un lavoro: un’impresa difficile per chi non parla la lingua.
«Il nostro obiettivo – raccontano gli operatori del centro – è fare in modo che i ragazzi arrivino il più preparati possibile ai 18 anni, il momento in cui dovranno uscire da qui. Cioè che imparino l’italiano e riescano a fare un’esperienza lavorativa, anche se in Italia è molto difficile per un minore trovare qualcuno che lo assuma in bianco».
La vita dei migranti al Cas di Fabriago tra lezioni di italiano e giochi
Il centro di Santa Maria in Fabriago – aperto dal 30 ottobre 2023 all’arrivo dell’Ocean Viking – è gestito dal Progetto Crescita della cooperativa Solco di Ravenna. Qui operano tre educatori, un mediatore culturale, un interprete e un insegnante di musica. Sono stati loro a rendere ospitale il luogo comprando i mobili, attaccando quadri, montando un campo da ping pong e al momento stanno allestendo una palestra. Oggi sono 25 i ragazzi ospitati nella struttura, ma in tutto ne sono passati circa 60: molti proseguono il viaggio verso la Germania (in particolare i siriani e i sudanesi) o verso la Francia.
I 25 giovani in realtà hanno tutti già esperienza lavorativa. «Arrivano qui e non vedono l’ora di rimettersi a lavorare – spiegano gli operatori – soprattutto per mandare i soldi a casa, ma non è per niente facile. Stiamo cercando in alternativa di fargli fare un po’ di volontariato, in modo da avere un attestato. Nel frattempo vorremmo mandarli a scuola, ma non è semplice iscriverli, perché bisogna farlo entro marzo, e loro sono arrivati dopo. Da poco siamo riusciti a fargli frequentare il centro di istruzione per adulti, in modo che imparino l’italiano».
Mentre giocano a 8 américain, un gioco di carte francese, i ragazzi si presentano. Vengono da Ghana, Egitto, Senegal, Gambia, Costa d’Avorio, Etiopia, Burkina Fasu e altri Paesi. Hamza (nome di fantasia), un ghanese di 17 anni, racconta che è partito su un barchino dalla Tunisia, ma a metà il motore si è rotto e la barca ha iniziato a oscillare sotto i movimenti delle tante persone a bordo. Fortunatamente una nave di una Ong li ha recuperati e portati in Italia.
I problemi dell’accoglienza
Hamza è a Ravenna da circa un anno, parla bene l’italiano, gioca a calcio e nella vita ha fatto l’imbianchino, il muratore e altri lavori. Per molti mesi è stato ospite di un Cas minori di Ravenna che ha dovuto chiudere e allora è stato trasferito a Fabriago. «Sono contento – dice – qui posso andare a scuola e ci sono tante cose da fare». È appena tornato da un corso di videomaking.
Il Cas che ospitava Hamza non sarà né il primo né l’ultimo a chiudere. Secondo molti, questo è uno dei risultati della politica dei ‘porti sicuri’ nel Nord Italia, pensata per allungare il viaggio alle navi di Ong e tenerle lontane dal Mediterraneo Centrale, senza un reale progetto di medio-lungo termine.
Dalla fine del 2022, infatti, la Prefettura, il Comune e le cooperative hanno imparato ad allestire in tre o quattro giorni questi centri di accoglienza, quando una nave è in arrivo: con tutti i limiti del poco preavviso, la mancata pianificazione e il mancato confronto tra realtà locali e Governo. Ciò che ne consegue è che alcuni dei Cas allestiti in fretta e furia sono poi costretti a chiudere per mancanza di fondi o per problemi agli edifici. A breve, ad esempio, chiuderà quello di via Torre a Ravenna, il primo Cas minori della zona, perché ha problemi al tetto.
«Dall’acronimo Cas andrebbe tolta la ‘S’ – spiega Vitali Stepaniuc, coordinatore del cas di Fabriago – perché questi centri non sono straordinari. Alcuni ragazzi sono nei Cas da più di un anno, mentre sarebbero pensati per dare ospitalità per non più di un paio di mesi. Un altro aspetto che non va è che non prevedono l’integrazione, già a partire dal nome. Qui paradossalmente basterebbe un portiere che apra la mattina e chiuda la sera: questa non è accoglienza. Ovviamente il nostro staff non la pensa così e cerca di compensare a questo tipo di mancanza, offrendo corsi, esperienze e attività ricreative. È tutto a carico nostro, ma crediamo che sia importante che si sentano a casa».
La frazione è isolata: servirebbe un pulmino o una fermata in più dell’autobus
Da un lato l’argine del Santerno, dall’altro un antico castello del Ducato di Fabriago e in mezzo il Cas. Questo è quello che si vede arrivando nella frazione lughese. In mezzo alla campagna della Bassa, conta circa 700 anime, più i 25 ragazzi provenienti dalla sponda opposta dei Mediterraneo.
Uno dei temi principali sulla struttura è proprio il suo isolamento. Il paesino non è semplice da raggiungere e gli operatori da tempo si stanno battendo per far aggiungere all’autobus 296 – quello che porta a Conselice – una fermata a Fabriago, ma il Comune sta temporeggiando. L’alternativa che stanno valutando è quella di acquistare un pulmino, facendo partire una raccolta fondi.
Infatti, se da un lato la risposta degli abitanti è stata molto positiva – ad esempio alcuni si sono offerti di aiutare, altri coinvolgono i ragazzi nelle attività del centro civico – dall’altro, fatta eccezione per qualche partita a calcio con i ragazzini del posto, scarseggiano le occasioni per conoscere persone e coetanei.