Matteo Succi, artista digitale: nuova professione. «Formazione trasversale da autodidatta»

Il 25enne ravennate, in arte SVCCY, sta realizzando le scenografie digitali delle opere “Norma” e “Nabucco” per la nuova “Trilogia secondo Riccardo Muti”

Scenografo e anche, più in generale, artista digitale. Questa è la nuova professione che si è in qualche modo inventato, completamente da autodidatta, il 25enne ravennate Matteo Succi, in arte SVCCY. Sarà lui a realizzare le scenografie delle opere “Norma” di Bellini e “Nabucco” di Verdi, nell’ambito della nuova “Trilogia secondo Riccardo Muti”, in scena al teatro Alighieri di Ravenna dal 16 al 22 dicembre.

Il digitale, già da anni offre una moltitudine di professioni legate al marketing, all’informatica, al commercio e all’economia, e ora sta facendo passi da giganti anche in ambito creativo, aprendo nuove frontiere in un luogo tradizionale come il teatro. Succi non è stato scelto a caso. Nel corso dell’estate si era già messo in evidenza nell’ambito del “Ravenna Festival”, grazie alla sua particolare interpretazione del tema “Le città invisibili”, con la sua opera-animata che unisce Gerusalemme e i mosaici di San Vitale. Prim’ancora è stato invitato a Londra, nel grande spazio espositivo W1 Curates in Oxford Street, per esporre le sue opere d’arte digitali, in compagnia di grandi artisti del calibro di Koons e LaChapelle.

La sua produzione artistica è caratterizzata da una ricerca sulla società contemporanea che si ispira al Vaporwave, movimento nato tra il 2011/12. Succi, partendo dall’inizio: che tipo di formazione ha?

«Dopo aver frequentato il liceo scientifico a Ravenna, ho portato avanti gli studi al Conservatorio iniziati all’età di 12 anni e mi sono diplomato in Clarinetto a 22 anni. La musica era infatti la mia prima passione. All’Istituto Verdi ho anche frequentato il biennio accademico di Discipline interpretative terminato nell’ottobre 2019 con il conseguimento della laurea magistrale. Poi è arrivato il Covid e c’è stata una pausa forzata di circa due anni».

Un tempo che in realtà le è servito per appassionarsi di arte e computer, scoprendo… 

«L’arte digitale. In realtà i primi esperimenti risalgono a quando avevo 17 anni, ai primi lavoretti con Photoshop: mi divertivo a prendere una foto e a usarla come base per collage fotografici digitali. Durante la pandemia ho fatto diversi passi avanti perché ho comprato programmi che mi permettevano di creare l’immagine da zero e di fare animazione in 3D».

Lei si riconosce nella corrente anglosassone denominata vaporware. Può spiegare brevemente di cosa si tratta? 

«Nata in ambito musicale ha poi coinvolto il settore visuale, ed è caratterizzata dall’uso di temi nostalgici degli anni Ottanta e Novanta di sistemi operativi per computer e consolle per videogiochi, busti romani, centro commerciali abbandonati, elementi della cultura giapponese». 

Non deve essere facile ‘muoversi’ in un settore così nuovo almeno per l’Italia… 

«Sì, e non è un caso che riceva proposte di collaborazione più dall’estero dove l’arte digitale è più apprezzata. Spesso si fa fatica capire che un’animazione di un minuto e mezzo sia un’opera e non una pubblicità o una semplice creazione grafica. Però qualcosa si sta muovendo, soprattutto da parte di privati».

Qual è il tratto che più caratterizza la sua poetica? 

«Le mie immagini riflettono la condizione umana della società di oggi. La figura umana è rappresentata da statue spesso senza volto o coperte da oggetti, che simboleggiano la totale mancanza di identità dell’individuo, ‘oppressa’ dalla tecnologia e dalla società ultra consumistica. La realtà in cui vive l’uomo è inautentica e irreale, basata su modelli comportamentali imposti dai mass media, i cui stili di vita sono controllati attraverso la moda e la pubblicità».

Tornando al nuovo impegno con la Trilogia, è corretto dire che rappresenti una svolta per lei? 

«Sì, senza dubbio, è l’occasione che sognavo. Ci sto lavorando giorno e notte e ho lasciato l’insegnamento in ambito musicale, l’impiego ‘tradizionale’ che mi consentiva poi di dedicarmi alle altre mie passioni. Sono da solo e ci vuole tempo per preparare tutte le scene di opere che durano oltre 2 ore e mezza l’una».

Cos’ha provato quando le hanno proposto l’incarico a fine luglio scorso? 

«Una grande gioia, unitamente al senso di una grande responsabilità. Mi aspetta un lavoro titanico ma molto stimolante per un ente prestigioso, in una stagione fra l’altro in cui il maestro Riccardo Muti tornerà a dirigere le opere come non accadeva da tempo. Un’altra novità della Trilogia di quest’anno è che il palcoscenico si spoglia per lasciare spazio alla sola musica e al canto, alla nudità dell’interpretazione, all’esecuzione ‘in forma di concerto’. L’orchestra quindi non sarà come al solito in buca ma sul palco, mentre le scenografie saranno completamente digitali come non capita spesso in altri teatri».

Che stile avranno le sue animazioni 3D? 

«Per “Norma”, non mi discosterò molto da ciò che faccio abitualmente, visto che ricorrenti saranno le statue e altri elementi veri. In “Nabucco” invece è previsto l’utilizzo di costruzioni e di supporti vari».

Cosa consiglierebbe ad altri giovani interessati a intraprendere questa nuova professione? 

«Non è facile, anche se conosco diversi ragazzi che si sono formati come me da autodidatta. Ci sono corsi e accademie in giro in cui studiare per esempio il videomapping o altri ambiti specifici. Trattandosi di un lavoro nuovo però non c’è ancora nessuna scuola – almeno in Italia – in cui acquisire tutte le competenze trasversali necessarie a un universo in continuo divenire. Io stesso vorrei fare dei corsi ma non è facile scegliere perché a ogni lavoro mi chiedono cose diverse, così continuo a ‘ingegnarmi’ per conto mio. Per l’ingaggio con la Trilogia, decisiva è stata la mia conoscenza del 3D ma anche il mio background musicale, per costruire immagini in sintonia con la musica».

Sta lavorando ad altri progetti in questo momento? 

«Ho appena finito un’opera denominata “Butterflies”, in Inghilterra, per il progetto legato alla community web 3.0 “World of Women” che ogni stagione seleziona alcuni artisti per avere opere digitali da dare ai collezionisti. La mia creazione è stata realizzata in 400 pezzi».

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