Matteo Bussola: il raccontatore di storie

Architetto, fumettista e scrittore affermato, Matteo Bussola ha tre mestieri, ma una sola anima: il raccontatore di storie.

Matteo Bussola ha tre mestieri, ma una sola anima: il raccontatore di storie. Architetto, fumettista e scrittore affermato ha già all’attivo cinque libri e torna a Ravenna giovedì 3 marzo per presentare alle ore 18:00 presso il Caffè Letterario il suo ultimo libro, Il tempo di tornare a casa, un racconto che è una raccolta di storie, come in fondo è la vita, «una catena infinita di incontri e di addii».
L’abbiamo intervistato in esclusiva per conoscerlo meglio e scoprire la sua visione della scrittura.[vc_single_image image=”6461″ img_size=”full” add_caption=”yes”]Da architetto a fumettista e poi scrittore. Ci racconti come è andata?

«Fin da piccolo avevo la passione per il disegno e i fumetti. Dopo la laurea in architettura ho lavorato come architetto in Comune. Nel 2007 ci furono tagli ai fondi pubblici. Non si costruiva più nulla, si facevano solo manutenzioni ordinarie. Mi sono ritrovato a 35 anni a passare le mie giornate davanti ad un monitor, una tranquillità che altri potevano apprezzare, ma io mi sono detto che forse si era creata quella “finestra” che aspettavo da tutta la vita. Con incoscienza mi sono licenziato, ho fatto un book e l’ho inviato a diversi editori. Dopo pochi mesi già lavoravo per piccoli editori fino ad arrivare dopo sette anni a Sergio Bonelli Editore.
Come sono arrivato alla scrittura è ancora più surreale. Ho sempre avuto una scrittura di stampo diaristico, scrivevo piccoli racconti di quotidianità. Quando arrivò in Italia Facebook, 13 anni fa, c’era scritto diario e ho pensato che si usasse così. Ho quindi scritto storie per tanti anni fidelizzando un numero sempre maggiore di persone. Un giorno una mia storia è diventata virale ed è arrivata a Rosella Postorino di Einaudi che mi ha proposto di raccogliere le mie storie in un libro cartaceo. È nato così Notti in bianco, baci a colazione che è andato oltre le mie più rosee aspettative, tradotto anche in altre lingue. Ne ho fatto quindi cinque».Da qualche anno è arrivata anche la radio. Come è questa esperienza?

«La radio è arrivata per caso. Ho conosciuto Federico Taddia in occasione della presentazione del mio primo libro ad un festival letterario. Si parlava quindi di paternità, di rapporto con figli e figlie. Lui era molto interessato e ci siamo scambiati i contatti con la promessa che sarebbe nato qualcosa. Dopo due mesi mi ha proposto la trasmissione i Padrieterni su Radio24 che è iniziata dopo solo una settimana. L’ho raccolta come una sfida interessante. La cosa che mi è piaciuta subito della radio è che non vengo chiamato per riempire degli spazi come nella scrittura, ma che invece devo fare posto agli altri. Mi ha costretto anche ad imparare la capacità di sintesi, che non è una mia caratteristica, per adattarmi ai tempi stretti tipici della radio».In questi ultimi anni la scrittura sembra avere preso il sopravvento. Come definisci la tua urgenza di scrivere?

«Ho capito che non ho urgenza di scrivere, ma di raccontare. Nasco come disegnatore e ad un certo punto mi sono ritrovato nella situazione in cui il libro si stava mangiando il resto della mia vita. L’ho vissuto come una clamorosa ingiustizia, come se fossi finito in un film sbagliato. Alla fine ho capito che io scrivo storie sia quando disegno, sia quando scrivo. In entrambi i casi la mia attitudine è riuscire ad osservare il reale e a trasformarlo nel racconto. È come se disegnassi con le parole. Ho scoperto che non sono due attività diverse. E se mi devo definire io sono un raccontatore di storie».[vc_single_image image=”6460″ img_size=”full” add_caption=”yes”]Il tuo ultimo libro, che presenti al Caffè Letterario a Ravenna, è un intreccio di storie, di esistenze che attraversano una stazione affollata. Da dove nasce l’idea?

«L’idea nasce dal mio grande amore per le stazioni, il luogo che ho frequentato più spesso in questi ultimi anni per presentare i miei libri. Nasce dall’egofobia. Ho sempre avuto una scrittura autobiografica e volevo invece un libro che parlasse delle storie di altri. Nasce nel lockdown dovuto alla pandemia, quando mi sono accorto che non sapevo più chi ero. Avevo bisogno degli sguardi degli altri per sapere chi fossi.
La stazione è il luogo dell’incontro, dell’inatteso, dove siamo esposti agli sguardi degli altri. Del resto I baci più belli del mondo si danno in stazione alla persona che parte. È quindi la cornice ideale per raccontare queste storie d’amore».Torni a Ravenna per una nuova presentazione. Cosa ti ha colpito della nostra città?

«Non conosco benissimo Ravenna dove sono venuto già due volte. Ciò che mi ha stupito entrambe le volte, camminando per la città, è la continua sorpresa ad ogni passo, ad ogni angolo. Mi ha anche colpito il rapporto che ha con l’acqua. Ho vissuto a Venezia e ho percepito che è completamente diverso. Pur essendo una città di mare, sembra una città di terra. E naturalmente mi hanno colpito i cappelletti»!

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