Marco Bonitta: un coach per vocazione

I successi di Marco Bonitta come allenatore di pallavolo e il suo ritorno a Ravenna

Foto: Fabrizio ZaniMarco Bonitta ha dato lustro allo sport ravennate conquistando, in qualità di Commissario Tecnico della nazionale italiana femminile di pallavolo, il Campionato del Mondo nel 2002, attualmente ancora l’unica vittoria del titolo per la squadra, e due medaglie d’argento agli Europei del 2001 e del 2005. Ma il suo percorso è stato ricco di tappe significative, non solo in Italia, di successi e di delusioni sempre affrontati con grinta e determinazione, come ci racconta in questa intervista: dagli esordi quale allenatore nel settore giovanile maschile a Ravenna – e gli otto titoli di Campione d’Italia  –  fino all’incarico di direttore generale della Porto Robur Costa nel 2016 per poi tornare ad allenare nel 2019 e, dopo la nomina dello scorso gennaio a Commissario Tecnico della nazionale slovena femminile di pallavolo, ad accettare recentemente una grande sfida riprendendo le redini del Porto Robur Costa 2030 per ricostruire la squadra che ripartirà dalla serie A2 grazie ad un rilancio importante del gruppo Consar e ad un progetto di risalita triennale. A ciò si aggiunge inoltre l’intera direzione tecnico-sportiva, che comprende anche il settore giovanile.Come hai deciso di intraprendere la carriera di allenatore di pallavolo?

«È stata una cosa spontanea che ho sentito fin da ragazzo, quando facevo le scuole superiori. Mi è sempre piaciuto organizzare una “squadrina”, pensare a come funziona una squadra. Ho sempre avuto quindi questa vocazione cui si sono unite la possibilità di farlo e la fortuna di avere dei maestri importanti che mi hanno stimolato e supportato. Primo tra tutti Alexander Skiba, quando sono entrato nello staff del settore giovanile a Ravenna. Lui è stato il primo che mi ha fatto capire che potevo fare l’allenatore».[vc_single_image image=”9864″ img_size=”full”]Un percorso che ti ha portato a stare lontano da casa e a lavorare anche all’estero per poi tornare e ritornare quest’anno a Ravenna per un incarico impegnativo, mantenendo la qualifica di coach della Slovenia femminile. Ci racconti come è andata?

«Si sono sovrapposte due fasi molto importanti della mia carriera di allenatore: ho iniziato nel settore giovanile e poi mi sono trasferito nel femminile e ci sono rimasto per più tempo del previsto. Queste due esperienze si sono ora unite. Alleno la nazionale slovena, una squadra giovane dove ci sono diverse giocatrici futuribili, e sono tornato a Ravenna, dopo l’amara retrocessione della squadra lo scorso anno, per un progetto che comprende tutto il settore maschile. Spero di poter far divertire nuovamente i ravennati nel loro palazzetto, visto che quest’anno torniamo a giocare al Pala Costa».Quest’anno festeggi i 20 anni della conquista del titolo mondiale con la nazionale femminile, l’unico iridato della storia azzurra. Un bel traguardo e una grande soddisfazione per un allenatore. Cosa ricordi di quei momenti?

«Ricordo tutto e molto di più di quanto mi venisse in mente allora. Nel tempo le cose si sono sedimentate e ho più ricordi. Ciò che ricordo con più emozione è il rapporto che in quei due anni, 2001-2002, ho instaurato e poi cementato con le ragazze che ancora in parte sento. Sapere di avere condiviso un momento importante della loro carriera e di avere fatto qualcosa di grande insieme mi rende orgoglioso. E ne vado orgoglioso anche per la mia città che spero di avere portato così in tutto il mondo».Lo sport è fatto di vittorie e di perdite, la carriera di un coach di occasioni prese ed occasioni perse. Qualche rimpianto?

«Rimpianti no, mi piace più parlare di delusioni sportive per come sono fatto. Per la mia spina dorsale caratteriale tendo sempre ad affrontare le cose di petto. La delusione più grande è stata quando nel 2014 ho ripreso la nazionale femminile arrivando a disputare nuovamente i mondiali, ma nonostante la squadra avesse giocato meglio di quando li abbiamo vinti, abbiamo perso al tie-break contro il Brasile conquistando solo il quarto posto. Ricordo il titolo dell’articolo della Gazzetta dello Sport “Fuori dal podio, ma dentro al cuore” che è significativo di una squadra che ha fatto divertire ed emozionare».[vc_single_image image=”9865″ img_size=”full” add_caption=”yes”]Come vedi il tuo futuro e quello della squadra ravennate?

«Ci siamo uniti per l’ennesima volta con un progetto di medio termine – tre anni – che permette di costruire qualcosa di concreto. Vedo il mio futuro qui. Alla soglia dei sessant’anni non ho più voglia di girare per il mondo come facevo prima. Ma vedo anche un bel futuro per la pallavolo ravennate. Ravenna non ha mai spento la fiammella, la passione per questo sport che credo che possa ripartire e dare delle belle soddisfazioni».

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