Marcello Foa, ex presidente Rai: «Liberiamoci dal sistema (in)visibile e torniamo padroni del nostro destino»

Marcello Foa racconta l'uscita del suo nuovo saggio "Il sistema (In)visibile"

Si intitola “Il sistema (in)visibile” il nuovo saggio del giornalista, blogger ed ex direttore Rai, Marcello Foa, giunto alla quarta ristampa con Guerini e Associati. Un libro in cui racconta dello stra-potere delle multinazionali e dello stato di dissonanza cognitiva in cui ormai siamo immersi: «Non riconosciamo più il mondo in cui viviamo, continuiamo a eleggere parlamenti e governi pur sapendo che le decisioni che contano vengono prese altrove». Per Foa, «ci sentiamo e siamo impotenti di fronte alla progressiva distruzione della classe media in un’epoca di emergenza perenne: dal Covid-19 a quella energetica, per arrivare alla guerra in Ucraina». Di questo e molto altro, parlerà – in dialogo con Pieto Casavecchia – durante la conferenza di venerdì 24 marzo alle 18.30, nel Salone dei Mosaici di via IX Febbraio 1 a Ravenna. L’appuntamento è promosso da “Tessere del 900” che quest’anno celebra il quinto compleanno. La conferenza è a ingresso libero e sarà visibile anche su Zoom e sulla pagina Facebook dell’associazione. A seguire, cena con l’autore all’Osteria Passatelli (per prenotazioni: 339-3130423 e info@tesseredel900.it).

Marcello Foa, quali sono i condizionamenti di quello che lei definisce un sistema (in)visibile?
«Sono tanti e di vario tipo: istituzionale, sovranazionale, economico, sociale, sociologico, mediatico. Per comprendere tale sistema che è visibile e al contempo volutamente non visibile, è necessario uscire da schemi interpretativi suggeriti, e quindi manipolati, dai media».

Come si riesce oggi a modellare le masse, cambiandone i valori, l’orientamento politico?
«Avvalendosi delle tecniche di influenza psicologica, incluse quelle elaborate dalla Cia e dal Kgb. Stalin conosceva bene cosa si può ottenere con condizionamenti psicologici e sociologici, con il supporto di media compiacenti. Non lo dico io, parlano gli archivi desecretati della Cia e testimoni diretti del Kgb. Questo tipo di condizionamento è stato utilizzato anche in America e questo è il motivo per cui ci troviamo ormai in uno stato di dissonanza cognitiva che conduce alla paralisi nel lungo periodo».

Qual è il ruolo del buon giornalista in un’epoca come quella attuale in cui la comunicazione dovrebbe essere più democratica grazie al web?

«Il buon giornalista dovrebbe prima di tutto raccontare la realtà così com’è, ricercare la verità, e non aver paura del confronto che è l’essenza della democrazia. Per far questo è necessaria onestà intellettuale, oltre a una maggiore conoscenza delle tecniche di orientamento e manipolazione».

Come può il lettore ricercare la buona informazione?

«Aumentando le proprie fonti di informazioni e riponendo fiducia in certe firme che si reputa autorevoli».

Lei ha una carriera di lungo corso, segnata anche da un prestigioso e recente incarico. Com’è stato essere a capo della Rai nel triennio 2018-2021?
«Senza dubbio un’esperienza molto dura, in cui si è sottoposti a pressioni di vario tipo, che non si dimentica in fretta. Si tratta di un incarico importante anche se da presidente, ci tengo a precisarlo, non avevo deleghe sui programmi, perché a decidere sui palinsesti è l’amministratore delegato. Ho scoperto molte professionalità non abbastanza valorizzate e ho ricercato di promuoverle senza pregiudiziali politiche. Credo nel merito prima di tutto, ma a Roma ci sono altre regole più radicate».

Ha un rammarico invece?

«Sì, quello di non aver potuto essere incisivo come avrei voluto. Ma tre anni, il tempo massimo della carica, sono davvero troppo pochi per un’azienda così poderosa che conta 13mila dipendenti che diventano 27mila se si considerano anche i collaboratori. Appena se ne comprendono al meglio i meccanismi, è già tempo di lasciare…».

Attualmente di cosa si sta occupando?

«Dopo le esperienze impegnative all’interno di alcuni gruppi editoriali svizzeri e in Rai, ho fatto una scelta di vita per avere più tempo libero. La mia attività è ora ripartita su tre binari. Anzitutto, scrivo libri e faccio conferenze, partecipando inoltre al dibattito in tv. Poi insegno all’università Cattolica di Milano e all’Usi di Lugano. In ultimo, sono membro indipendente del consiglio di amministrazione di Azimut Holding».

Il suo è un ritorno in città. Cosa conosce di Ravenna?

«Ci sono venuto solo una volta di passaggio, con la mia famiglia, un po’ di anni fa. Purtroppo non ero riuscito a visitarla come meritava. Questa volta, avrò finalmente la possibilità di restare più a lungo e di concedermi qualche piacere culturale e gastronomico».

A promuovere l’evento è l’associazione “Tessere del 900”, presieduta da Piero Casavecchia, che ha portato una novità nel panorama culturale ravennate con la riapertura del Salone dei Mosaici, l’organizzazione di conferenze con relatori di fama nazionale e internazionale, visite guidate a mostre e monumenti, proiezioni di film, mostre di arte e storia, oltre che con la pubblicazione di libri, la produzione di un documentario e la messa in scena di uno spettacolo teatrale, su temi e argomenti mai affrontati prima nella realtà ravennate.

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