Luca Gardini, “The Wine Killer”, racconta cosa significa comunicare il vino

Per innovare un settore – qualunque esso sia – sono fondamentali due caratteristiche: saper guardare oltre i dogmi a cui siamo abituati e saper trasmettere le proprie conoscenze alle persone, adattandosi ai nuovi mezzi di comunicazione e facendoli propri. Luca Gardini – in arte “The Wine Killer” – è senza alcun dubbio un innovatore nel campo della comunicazione del vino.

Uno dei suoi obiettivi è quello di accorciare le distanze tra chi comunica il vino e chi vuole avvicinarsi a questo mondo. Il vino per lui prima di tutto è una forma di condivisione da conoscere e onorare. Tra le sue parole chiave ci sono semplicità e onestà, caratteristiche che lo hanno portato a essere il primo italiano a far parte dei wine-critic di Wine Searcher. Oltre che a vincere il premio BWW – Best Italy Wine Critic of the World 2022, assegnato da Tastingbook.com, la più grande comunità di professionisti e appassionati di vino.

Ravennate, nato nel 1981, Gardini è figlio d’arte e inizia a respirare quella che diventerà la sua passione nel negozio di alimentari del nonno, che a volte gli metteva da parte qualche bottiglia da assaggiare. A poco più di vent’anni inizia a lavorare all’Enoteca Pinchiorri di Firenze, per Giorgio Pinchiorri, considerato da tanti il miglior maître italiano. Nel 2004, a soli 23 anni, diventa campione italiano dei sommelier, poi nel 2009 campione europeo e a solo un anno di distanza arriva a essere campione del mondo. Dopo un’esperienza al ristorante Cracco a Milano, dove per sette anni ha ideato la carta dei vini e rivoluzionato il servizio, ha deciso di dedicarsi esclusivamente alla comunicazione.

Tra le sue forme di comunicazione ci sono – oltre a pubblicazioni come “Enciclopedia del vino” e “Il bicchiere d’argento” – “Il Codice Gardini“, un manuale da intendersi come «guida pop al piacere di bere», poi diventato anche una serie trasmessa sul web. Gardini cura le guide di “Espresso” e collabora con testate del calibro di “Forbes”, nonché con la piattaforma Zachys negli Stati Uniti per le anteprime del Brunello di Montalcino. Dal 2015, inoltre, ha lanciato “Gardini Notes”, noto anche come “Wine Killer“, un portale in lingua inglese dedicato alla degustazione di vini da tutto il mondo.

Gardini, come definirebbe oggi il suo lavoro?

«Mi definisco wine critic, venditore e bevitore. Nel senso che sono un critico, faccio il mio lavoro di critico, ma cerco di trasmetterlo in modo semplice e comprensibile per gli amanti del vino. Il mio lavoro è anche quello di trasmettere la voglia di tornare e appassionare. Il mio approccio è raccontare quello che c’è nel vino, ma non parlo di sentori di mango, papaya o fragola: la frutta la lascio al fruttivendolo. Se non facessi arrivare il vino a tutti, avrei sbagliato il mio lavoro: il mio obiettivo è lasciare qualcosa alla gente, che sia la voglia di tornare su un certo bicchiere di vino o su una certa azienda. Credo che tutti abbiano un palato, più o meno sensibile, ma si tratta di svilupparlo e accompagnarlo».

Che cos’è per lei il vino?

«Credo che il vino sia condivisione e piacere. Il mio lavoro è quello di fare il critico e dare un punteggio, ma molto prima di questo il vino per me è qualcosa che regala dei momenti».

Qual è l’esperienza che l’ha resa quello che è oggi?

«Quando ero da Panchiorri e per sei mesi sono stato in cantina a spostare i cartoni di vino, poi per un mese ho guardato la gente che apriva le bottiglie, dopo un altro mese ho iniziato ad annusare il vino. Solo dopo un anno ho iniziato ad assaggiarlo. Oggi, dopo più di 20 anni, dico che spostare quei cartoni è stata una fortuna. È stato quello a rendermi Gardini. Ho avuto il primo articolo nel ’99 e a 40 anni “Forbes” mi ha fatto la copertina, ma sono partito da lì».

Perché i vini romagnoli non sono conosciuti quanto altri vini italiani?

«La Romagna per certi versi è ferma. I vini romagnoli non sono conosciuti fuori dalla Romagna, perché i romagnoli non li vogliono far conoscere. La Romagna ha scelto persone sbagliate per comunicarla, penso che le associazioni facciano il male del vino. “Forbes” ha detto che l’Emilia Romagna è la prima regione per qualità di cibo e vino. Sono legatissimo alla mia regione, abbiamo un patrimonio enologico grandissimo, ma non c’è comunicazione verso l’esterno».

Lei invece con “Gardini Notesha intrapreso un percorso di comunicazione completamente in inglese. A chi si rivolge?

«A tutti, giornalisti, critici, appassionati, sia Italiani sia non. Penso che non abbiamo bisogno di persone dall’estero che vengano a comunicare il vino italiano. Abbiamo un vino di spessore, riconosciuto in tutto il mondo».

Cosa ne pensa del vino senza alcol?

«Il vino senza alcol per me è come una donna che porta i tacchi per essere bella, ma poi non sa portare le ballerine. Per me una donna deve saper portare le ballerine. Il vino esiste da sempre e secondo me quello senz’alcol è uno schiaffo al nostro patrimonio. Rovinerebbe quello che l’Italia sta facendo sia a livello enologico sia enoturistico. In questi anni si è lavorato molto sulle regioni, sui borghi e l’enoturismo sta riscuotendo grande successo, non roviniamolo».

Il cambiamento climatico ha un ruolo nella produzione del vino? Qualcosa sta cambiando?

«Quest’anno, che c’è stato un grande caldo, io ho assaggiato delle basi pazzesche. Il cambiamento climatico sicuramente influisce, ma chi sa lavorare bene con la tecnologia, chi sa gestire la vigna, sa adattarsi. È una questione di adattamento».

Quali sono i suoi prossimi progetti, può dare qualche anticipazione?

«Continuerò quello che sto facendo, consolidandolo, farò eventi all’estero. Sicuramente voglio continuare nella comunicazione di certi territori e di certe aree vinicole ben definite, che non si considerano ma che sono grandi, come ad esempio il Cirò. Poi sicuramente voglio aiutare in modo indiretto la mia terra, la Romagna. Il vino romagnolo forse non è il migliore, ma sicuramente ha qualcosa da raccontare e da lasciare».

Se dovesse consigliare un vino romagnolo da aprire con gli amici?

«Il Caciara».

Invece uno italiano?

«Come vino italiano in generale, consiglierei il Barolo».

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