La storia mediatica focalizza la sua attenzione su Roma facendo dell’impero romano con i suoi Ben Hur, Spartaco e Massimo Decimo Meridio l’argomento prediletto dei film peplo di cui tutti ricordiamo i luoghi simbolici. Questo stereotipo hollywoodiano toglie spazio e verità storica agli ultimi tre secoli dell’impero che vide Milano residenza della corte a partire dal 286 e Ravenna dal 402.
Se dovessimo parlare in termini contemporanei, l’Impero che aveva un’estensione importante dal Reno e Danubio al settentrione fino al Tigri a Oriente almeno fino al terzo secolo, corrispondeva al concetto che oggi definiremmo “OrdoLandia”, mentre fuori dal limes si estendeva Caoslandia. Dopo l’anarchia militare del III secolo, questa distinzione si fa debole e Caoslandia entra nella culla della civiltà, benessere, prosperità. Il centro si ritrae rispetto alla periferia e acquistano importanza luoghi vicino al Limes o remoti.
La residenza imperiale a Ravenna segue questa logica e la decisione di farne il rifugio di Onorio spetta al generalissimo Stilicone che per più di dieci anni resse le sorti di un impero in sfacelo influenzando le scelte dell’imperatore. Procopio descrive Ravenna come una terra inaccessibile sia via terra per le paludi circostanti sia via mare per le secche di non meno trenta stadi.
Stilicone era stato l’uomo di fiducia di Teodosio il Grande, metà barbaro da parte di padre vandalo e metà romano da parte di madre: un immigrato di seconda generazione che aveva fatto così tanta carriera da divenire il reggente dell’impero e il difensore dello status quo; un audace stratega che aveva legato a sé la famiglia imperiale dando le sue due figlie in moglie a Onorio e facilitando il matrimonio fra il suo proprio figlio Eucherio con la giovane Galla Placidia, sorellastra di Onorio e Arcadio. Un esempio perfetto di scalata sociale fino al tentativo di innalzare al trono il figlio alla morte di Arcadio, imperatore d’Oriente.
La sua ambizione lo portava a creder a una riunificazione della pars orientalis e occidentalis quasi che il sangue romano e germanico potesse infondere nuova linfa ad un mondo invecchiato, corrotto e imbelle con una demografia declinante e un’inerzia paralizzante. Le grandi civiltà seguono purtroppo una logica biologica, hanno un inizio eroico, un apice trionfante e una curva declinante quasi che la civiltà, e il mondo romano lo era davvero, portasse inevitabilmente alla perdita dei valori, in primis di identità e di civismo.
La malattie della nostra Europa e dell’Occidente sono le stesse di quelle dell’Impero romano del IV secolo: un calo di produttività e di competitività rispetto alla produzione orientale, il rifiuto della difesa e dell’arruolamento, una spesa pubblica eccessiva e una accanita tassazione oltre ad una mancanza di integrazione fra elemento germanico che costituiva il nerbo dell’esercito e l’elemento romano che forniva l’ossatura amministrativa. Stilicone rappresentava la sfida per una società nuova dove si prospettava un patto di fedeltà fra popolo germanico e romano per la sopravvivenza dell’impero, un nuovo mondo che avrebbe dato all’Occidente una nuova fisionomia ma avrebbe mantenuto la centralità dell’Impero che era rappresentato da Ravenna.
Purtroppo la Romanità che aveva elargito la cittadinanza a tutti i sudditi fina da Caracalla e si era fatta conquistare dal mondo greco e orientale, nutriva un risentimento e un sospetto inquietante nei confronti dei Germani, anche di chi come Stilicone aveva dato ampia testimonianza della sua fedeltà e della sua abilità. L’impero guardava a Sud, aveva nel Mediterraneo i suoi interessi e non aveva alcuna inclinazione per un integrazione e aperura verso le tribù che venivano dal Nord nonostante alcuni gruppi fossero stati federati e arruolati come effettivi nell’esercito.
Questo partito antigermanico che aveva i suoi sostenitori fra il senato di Roma e aveva preso piede anche a Ravenna decretò la morte del generalissimo Stilicone per una congiura ordita da Olimpio con il benestare di Onorio. Stilicone che nel 408 risedeva a Bologna, incerto se partire per Costantinopoli, aveva compreso che il vento era cambiato e che Olimpio lo aveva accusato di ogni nefandezza alla corte ravennate. Nella notte del 22 agosto con un piccolo seguito giunse a Ravenna e chiese l’appoggio del vescovo e ospitalità in una chiesa ravennate che vorremmo immaginare come la basilica ursiana innalzata l’anno precedente per il trasferimento della capitale nella città lagunare. All’alba del giorno seguente un gruppo di armati inviati da Onorio presentò una lettera al vescovo in cui si richiedeva il rilascio di Stilicone per acquisirlo come prigioniero.
Uscito dalla Chiesa, a Stilicone che aveva docilmente ubbidito, fu presentata una nuova lettera in cui si decretava la condanna a morte e anche questa volta si arrese alla volontà del suo imperatore. All’alba di una giornata afosa di agosto, fuori dalla sacralità del luogo che lo aveva ospitato, il vandalo che aveva salvato l’impero contro Alarico, Radagais e altri capi tribù, fu decapitato per alto tradimento e per i crimini commessi contro lo stato.
Fu un’esecuzione politica che nascondeva la paura di una visione allargata che avrebbe cambiato il senso della storia e Ravenna, ultima residenza dell’Imperatore, fu privata di un possibile riscatto e preferì attendere la propria fine chiudendosi in un isolamento lugubre e assistendo allo scempio del sacco di Roma appena due anni dopo la fatale esecuzione.
Latina presso l’Ateneo bolognese nel 1985. Laureatasi anche in Lingue Moderne e Conservazione dei Beni culturali, oltre a inglese, francese e spagnolo, ha approfondito l’arabo con il corso triennale presso l’IsiAO, conseguendo il diploma nel 2009. Quasi contemporaneamente si è dedicata ad un corso di perfezionamento sull’organizzazione della città storica, del territorio e dei loro modelli di rappresentazione presso la Scuola Superiore di Bologna.
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