Isacco Emiliani è un giovane fotografo e videomaker faentino classe 1991. Con la sua macchina immortala l’ambiente e l’uomo che lo vive per descrivere, attraverso progetti a lungo termine, il rapporto tra la natura e l’essere umano. Dopo 7 anni di lavoro in compagnia del nonno ha pubblicato “Ottantuno” un libro dedicato agli alberi iconici della nostra terra, mentre è ancora in corso “Artic Vision”, una collana composta da più collezioni per raccontare le regioni artiche sensibilizzando con le immagini la loro grande bellezza e fragilità.
Emiliani, come nasce la sua passione per la fotografia?
«Mi sono appassionato alla fotografia per caso. Ho studiato grafica pubblicitaria e nel mio percorso di studi, fra le materie di indirizzo, c’era “Grafica e fotografia”: questo è stato il mio primo approccio alla materia. Successivamente mio nonno mi ha regalato la macchina fotografica che era stata di mio zio, morto in un tragico incidente, e con quella ho iniziato a sperimentare la fotografia in tutte le sue forme durante un progetto scolastico. Ho iniziato a fotografare la natura vicino casa e la passione è diventata sempre più grande al punto da trasformarla nel mio lavoro».
A che tipo di fotografia si dedica principalmente?
«Nasco come fotografo ambientale, ed è questo il mio campo principale, ma con il tempo ho iniziato a documentare anche l’uomo perché comunque è la parte predominate di certi luoghi, capita di raccontare il luogo attraverso l’uomo».
Come nasce l’idea del suo ultimo libro “Ottantuno” realizzato con la collaborazione di suo nonno?
«Mio nonno è sempre stato un contadino ma anche un grande appassionato di lettura e una persona molto curiosa. Dopo la morte di mio zio si è legato molto a me e alle mie sorelle e passava il suo tempo a raccontarci tante storie che aveva letto o sentito. Tanti di questi racconti erano legati a luoghi iconici. Un giorno mi ha parlato di questi alberi monumentali vicino casa che aveva letto nel libro di Valido Capodarca “Emilia Romagna, ottanta alberi da salvare” e io sono rimasto affascinato da queste descrizioni».
Come si è sviluppato il progetto?
«Era il 2014/2015, io ero ancora agli albori della fotografia, la praticavo da qualche anno e non in modo predominante ma con mio nonno abbiamo deciso di iniziare questo lavoro sugli alberi che tanto ci avevano colpito. Fra il lavoro e gli impegni, l’unico momento che potevamo dedicare a questa idea era la notte e quindi alla fine abbiamo deciso, anche per dargli una connotazione artistica, di realizzarlo totalmente in notturna. Doveva durare qualche mese un po’ per gioco, alla fine sono passati 7 anni. Il libro ha avuto come partner “Il parco Nazionale della Foreste Casentinesi”, “L’Istituto Jane Goodal” ed è stato pubblicato dalla casa editrice “Nuts for life”
C’è stato qualche esperienza che l’ha colpita particolarmente?
«81 sono i luoghi più importanti del nostro lavoro fotografico. Per fotografarli tutti abbiamo fatto moltissime trasferte lontano e vicino casa con tante esperienze affascinati e divertenti. L’albero secondo me, fra i più iconici, è il cipresso di Villa Verucchio che ha più di 800 anni e si trova dentro un convento. Abbiamo fatto tre trasferte per fotografarlo e a lui è legato una storia divertente. Durante la seconda trasferta la nostra macchina si è fermato davanti al convento, abbiamo chiamato il carro attrezzi, non sapevamo come rientrare, i frati ci hanno proposto di dormire nel convento. Mentre aspettavamo l’arrivo del carro attrezzi, una signora ci ha portato due zuppe calde… meravigliose esperienze di umanità forte e tante persone stupende».
Lei ha molto viaggiato per i suoi lavori fotografici. Ha qualche altra particolare esperienza da raccontare? «In Alaska sono stato ospitato da un inuit, è stata una delle esperienze più forti che ho vissuto, ero con un altro ragazzo e siamo stati circa 10 giorni in uno dei villaggi più a nord, un luogo di 250 abitanti. Un giorno, passeggiando nel villaggio, ho trovato una parente dell’uomo che ci ospitava e ci ha chiesto se volevo fare delle foto a lei e a sua figlia. Siamo andati sulla costa e, mentre facevo le foto, la bambina si è messa le scarpe di danza, c’era un freddo incredibile e la cosa mi ha divertito molto, mi chiedevo come facesse con quel freddo esagerato. Ma questi scambi sono cose che restano. Poi le ho mandato il libro con la foto, è stato un bellissimo ricordo».
Cosa le hanno lasciato le sue esperienze nel mondo della fotografia?
«Tantissime cose. Sicuramente, da “Ottantuno”, la comprensione del forte legame con mio nonno, ma non solo. Un progetto lungo che ci ha aiutato a conoscere meglio noi stessi e la nostra terra ma mi ha anche aiutato a comprendere i miei obiettivi futuri. “Artic Vision” mi ha invece dato la possibilità di conoscere tante culture e confrontarmi con diversi modi di vivere».
È felice dei risultati ottenuti con il suo ultimo lavoro?
«Non è scontato che il successo arrivi, tante volte si fanno progetti fatti bene e può capitare che non arrivi alla gente nello stesso modo in cui lo si interpreta, magari perché è un lavoro molto personale e gli altri non possono dargli lo stesso valore. Vedere che alla gente “Ottantuno” è arrivato ci fa onore e credo che abbia anche dato una visione non scontata di scambio fra me e il nonno, innescando dei meccanismi positivi».
Ci sono dei fotografi ti hanno ispirato nel tuo lavoro?
«Diversi. Uno dei più influenti è stato Ansel Adams, uno dei primi a fotografare e a documentare i parchi nazionali degli Stati Uniti. Più vicino ai giorni nostri, Michio Oshino, che fotografava i luoghi selvaggi e incontaminati e, ad oggi, Mustafa Sabbagh, un fotografo d’arte».
I prossimi progetti in programma?
«Presto andrò in Groenlandia, in uno dei villaggi più a nord, e sarò ospitato da una famiglia del posto per 12 giorni. Quando mi sposto per questi progetti mi affido molto alle scuole che mi aiutano come interpreti per interfacciarmi con le comunità locali. Il lavoro fa sempre parte del progetto Artic Vision, che si pone l’obiettivo di fotografare i luoghi artici. Al momento sono stato in Finlandia, Islanda, Norvegia, Alaska e alle Isole Svalbard».
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