19 Feb 2023 13:58 - Più Notizie
Il ricordo dello scultore Carrino alla Fondazione Sabe. Autore di blocchi modulari in piazza Kennedy a Ravenna
Pienone alla sala conferenze della Fondazione Sabe di Ravenna per l'incontro su Carrino.
di Redazione
Ha fatto il pieno di pubblico ieri sera, alla Fondazione Sabe per l’arte di Ravenna, la conferenza su “Nicola Carrino. Scultura come trasformazione”, dedicata all’attività artistica di uno dei casi più significativi della scultura costruttiva degli anni Sessanta. «Vedervi così numerosi ci dà nuovi stimoli per proseguire nel nostro lavoro, sapendo di poter contare su uno zoccolo duro», affermano i titolari della galleria Mirella Saluzzo e Norberto Bezzi.
«L’appuntamento ha un doppio legame con Ravenna – ricorda in apertura Pasquale Fameli, direttore artistico della Fondazione Sabe per l’Arte –. Anzitutto perché, com’è tradizione della galleria, fa parte parte degli eventi collaterali alla mostra in corso, la personale di Giuliana Balice “Equilibri instabili”, in quanto intende far luce sul clima creativo nel quale ha preso avvio la ricerca plastica dell’artista. Poi perché, anche se non tutti lo sanno, in piazza Kennedy a Ravenna ci sono alcune opere di Carrino». Si tratta dei due blocchi modulari posizionati sulla gradinata davanti al Palazzo del Mutilato e di un blocco modulare sull’ingresso della corte laterale in via IX Febbraio. Lo scultore pugliese, che si è spento nel 2018 a 86 anni nella sua casa a Roma, li realizzò nel 2002.
Il ricordo della poetica di Carrino, durante la conferenza, è stato affidato a Francesca Pola, professoressa associata di Storia dell’arte contemporanea all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, dove è vicedirettrice di Icone – Centro europeo di ricerca di storia e teoria dell’immagine e membro del direttivo di Crisi – Centro di ricerca interdisciplinare di storia delle idee. «Carrino ha molto influenzato la mia visione del contemporaneo – spiega –. La sua opera è vasta, per cui mi concentrerò in particolare sui progetti condivisi e su alcuni interventi realizzati insieme. Ho scelto come titolo “Scultura come trasformazione” perché la trasformazione è una dimensione cruciale del lavoro di Carrino che in qualche modo ha ‘rotto’ con l’arte informale degli anni Cinquanta. Nel suo caso, la trasformazione è da intendersi come trasformazione di metodi e linguaggi del fare la scultura oltre che come metamorfosi del corpo classico».
La scultura di Carrino non è solo un’esperienza visiva, ma anche sociale. Con le sue opere non cambia solo lo spazio e il contesto ma anche i comportamenti, il suo è come un invito a vivere e a interagire con le sue creazioni. Si è messo in evidenza già dal 1962 come membro e fondatore del celebre Gruppo Uno a Roma che proponeva il superamento delle correnti informali con la ricostituzione in termini razionali dei linguaggi visivi, attraverso la ricerca di nuovi materiali su strutture geometriche di valore percettivo e un attento riesame del rapporto artista-società. Ecco alcune celebri frasi di Carrino: “La scultura è la forma del luogo, anzi il luogo stesso”, “La scultura non è produzione di oggetti ma comunicazione del pensiero” e “L’arte è un processo dinamico, evolutivo del reale”.
I primi lavori di Carrino, intorno al 1969, sono costruttivi trasformabili, ossia moduli di diverse configurazioni, a parete verticale o a piattaforma orizzontale o a cumulo. La dimensione trasformativa non è legata solo alle scelte dell’artista ma anche a quelle del pubblico che può partecipare. Una visione tipica di quegli anni in cui si spingeva molto sul concetto di ‘democraticità’ dell’arte. Più di recente, andando verso gli anni Duemila, Carrino si è poi dedicato a costruttivi e ricostruttivi, progettando luoghi in cui le persone possono anche ‘vivere’ le opere d’arte, come elemento di socialità. Francesca Pola ha ricordato, in particolare, il progetto Elissi del 1983 che individua traiettorie di attraversamento dello spazio, il progetto Paesaggio Morterone in cui nove moduli dialogano con il paesaggio e il Ricostruttivo Palladio 2010 a Villa Pisani a Bagnolo di Lonigo nel 2013-14 in cui costruisce quattro elementi collegati ai quattro libri dell’architetto Andrea Palladio.