Non c’è pace per Licia Benzoni e per la sua famiglia di San Pietro in Vincoli. Sono in tanti a ricordare il volto sorridente della ragazza di 26 anni, è scomparsa prematuramente nel 2011 a causa di un incidente stradale. E ora, a seguito di un attacco hacker il profilo della giovane è stato trasformato in un account phishing (ndr, truffa online per ottenere informazioni personali) a nome “Licia Lona”.
«Mi hanno avvisato alcuni amici in comune di mia sorella: abbiamo cercato subito di segnalare il problema a Facebook – spiega il fratello, Gioele Benzoni -. Poi, per superare il problema, volevamo rendere commemorativo l’account, ma Meta rileva il problema dell’hackeraggio e non permette di procedere».
Non riuscendo a trovare rimedio al problema privatamente, la famiglia Benzoni si è rivolta alla polizia postale di Ravenna, che ha fornito le prime spiegazioni sul problema: «Sono stati molto gentili – continua Benzoni – ma mi hanno detto di poter fare ben poco. Meta è una multinazionale con sede in Irlanda, ma sotto la giurisdizione degli Stati Uniti. Mi hanno presentato alcune possibili soluzioni: una denuncia, anche se la cosa avrebbe richiesto molto tempo; come alternativa mi hanno consigliato di pubblicare un post chiedendo aiuto agli amici di Licia per segnalare l’hackeraggio, in modo da rendere il profilo inutilizzabile».
Adesso non è più possibile fare segnalazioni o taggare il profilo. La pagina a nome Licia Lona, con la foto profilo di una ragazza asiatica, risulta bloccata.
«Mi è arrivata una mail da Meta, con richiesta di informazioni sull’accaduto – prosegue Gioele Benzoni – ma si capiva che era una mail automatica. Mi chiedevano la carta d’identità per effettuare la segnalazione. Abbiamo cercato di spiegare nel dettaglio la vicenda, sono passati 3 giorni ma ancora non abbiamo ricevuto risposta. Credo che a Meta importino poco questi problemi. Per quanto cattiva possa essere questa pubblicità la gente continuerà a usare i social. Penso che per loro siano semplicemente questioni irrilevanti».
L’hackeraggio dei profili è un problema ormai diffuso, e non sempre facile da contrastare. Per chi ne ha la possibilità, usare sistemi di sicurezza come l’autenticazione a due fattori o un frequente cambio di password può limitare le possibili intrusioni.
«Conoscenti e non mi hanno contattato tramite Messenger, raccontandomi la loro esperienza – spiega Benzoni – alcuni si sono rivolti ai legali, affrontando anche una serie di spese, altri hanno invece scelto di chiudere il profilo. Il problema è molto più esteso di quello che si possa pensare. Io al momento mi affido alla polizia postale che si sta occupando della vicenda».
Essendo fra le prime generazioni ad affrontare il problema del futuro dell’identità digitale il tema dell’eredità social è ancora poco affrontato. Sono poco note le possibilità di gestione degli account in caso di decesso. Tre sono le possibili strade da percorrere.
Per chi vuole essere previdente è possibile nominare un account erede da testamento, per la gestione futura della propria identità digitale, fra gli account amici.
I familiari possono rendere, a seguito del decesso, l’account commemorativo. Se non è stato scelto in anticipo un account erede, un tribunale, che amministra il patrimonio del defunto, può essere chiamato a emettere un’ordinanza che impone a Meta di nominare un custode degli account sui social network dell’utente deceduto o di aggiungere un individuo come contatto erede dell’account di Facebook.
In alternativa, con la documentazione adeguata, i familiari possono richiedere la chiusura dell’account.
«Non avrei mai immaginato che una cosa simile potesse accadere – afferma Gioele Benzoni -. Non avevamo salvato foto o ricordi di Licia dal suo profilo. Non avevamo accesso a quell’account, con delle credenziali sicuramente il recupero poteva essere più semplice».
Licia era una ragazza molto amata, lavorava al Crai di San Pietro in Vincoli e faceva parte di un’associazione di solidarietà, scioltasi a seguito della sua scomparsa. Membro di una grande famiglia conosciuta da tutti in paese. La vicenda ha dato vita a una catena solidale di conoscenti e amici che hanno contribuito a diffondere la notizia.
«Sono rimasto colpito dalla solidarietà che ci ha travolti – conclude Benzoni – inizialmente avevo fatto un post privato per spiegare la vicenda. Una mia amica mi ha consigliato di renderlo pubblico, ma non avrei mai immaginato che così tanta gente contribuisse a diffondere il nostro problema. Di questo ne sono molto contento. Penso che questa sia l’unica cosa buona di questa vicenda, al momento dobbiamo accontentarci di questo, mi auguro che la cosa si possa risolvere. Se così non dovesse essere dovremo farcene una ragione»
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