La città di
Ravenna, già nel suo fastoso periodo di capitale dell’impero romano d’Occidente presentava una
piccola comunità ebrea, circa 300 anime, osteggiata dagli imperatori cattolici Teodosio II e dalla figlia Galla Placidia che non poteva dedicarsi ad attività militari o forensi, ma che operava in ambito commerciale grazie al vicino porto di Classe. Al tempo di Teodorico, si assiste a una certa apertura da parte del re goto- ariano agli ebrei e al loro culto professato nelle sinagoghe tanto da multare o frustare coloro che compivano empietà in tali luoghi. Nell’Alto Medioevo,
gli ebrei erano occupati in una serie di attività in città: dalla vendita del vino e olio, come ristoratori in osterie precluse ai cristiani, alla fabbricazione di tessuti, e come artigiani tipo sarti, fabbri, orafi, ricoprendo funzioni poco lecite come il prestito legato all’usura.
Definiti i “Perfidi Giudei”, non potevano contrarre matrimonio con i cristiani e ci furono tentativi di conversione forzata.[vc_single_image image=”40557″ img_size=”full”]Dopo il Mille con la
signoria Da Polenta, le cose non migliorarono poiché venivano emarginati con un segno distintivo di colore giallo che erano obbligati a portare in pubblico uomini e donne nella veste o sul capo ed erano privi di diritti, ricevendo pene più severe per gli stessi casi dei cristiani. Tuttavia rispetto ai paesi europei non venivano perseguitati e potevano risiedere negli stessi quartieri dei cristiani, dette ‘guaite’, come quella di sant’Agnese. Si incontravano in una
piazza detta Plaza Uchare, oggi via Diaz, dove c’era il mercato delle oche che poi erano oggetto di macellazione rituale che prevedeva il dissanguamento degli animali prima del consumo continuata fino agli anni Sessanta. In certi casi potevano dedicarsi ad attività redditizie come il commercio di uve da vino e olio e avere banchi di prestito a pegno garantiti dal potere locale.Con la dominazione della Serenissima nella seconda metà del 1400, inizialmente fu approvata l’attività di credito a usura per risollevare l’indigenza dei poveri, e fu permesso loro di poter essere accolti a Venezia. Con la bolla del papa Eugenio IV che abbracciava le idee dei medicanti e predicatori e le severe disposizioni del concilio di Trento della seconda metà del 1500, fu interdetta agli infedeli la pratica dell’usura e discriminandoli visivamente con il solito colore giallo furono confinati in un ghetto detto anche Giudecca in riferimento all’isola veneta dove risiedevano. Secondo la
studiosa Osiride Guerrini e Laura Montanari, dalla fonte “Dietro le quinte di Palazzo Rasponi”, da cui mi sto basando per descrivere la storia degli ebrei in questa città, il luogo in cui furono segregati è l’attuale via Luca Longhi (oggi completamente mutato e in restauro),
la strada del ghetto, che prende il nome dal poeta di origine bolognese che nacque e operò in una bottega di tipo familiare fra il 1507 e il 1580 e anche all’interno della guaita di Sant’Agnese con il suo dedalo di stradicciole, appartenenti a luogo povero e malsano. Nel corso del tempo fu permesso di svolgere le loro attività artigianali e commerciali oltre che come possidenti terrieri ma gravate da una forte tassazione. Fra vicende alterne a favore degli ebrei come il governo giacobino e il ritorno della legazione pontificia con la Restaurazione si inasprì la questione ebrea, sottraendo alle famiglie stesse i propri figli per educarli al Cattolicesimo a Roma.
Dopo l’Unità d’Italia nel 1862,
gli ebrei presenti erano circa 26 nel comune di Ravenna su una popolazione di circa 57.000 abitanti. Nel 1938, con la promulgazione delle leggi razziali fu censita dalla Prefettura la presenza ebrea, contati e schedati secondo dati particolareggiati. Furono trovati 10 nuclei familiari, di cui 16 su 21 professavano la religione israelitica, 8 erano iscritti al partito Nazionale Fascista e solo 3 nuclei erano nati in città come i Seralvo, che commerciavano stoffe in via Cavour.[vc_single_image image=”40556″ img_size=”large” add_caption=”yes”]La discriminazione imperversava anche nell’istruzione e nella cultura, poiché i testi di scrittori ebraici non erano ammessi e si dava la priorità ai ragazzi non ebrei durante gli esami. Nel settembre del 1943 e gennaio 1944, tutti gli ebrei scomparvero da Ravenna fuggiti ma soprattutto deportati nei lager come Auschwitz , dove trovarono la morte bambini inermi come il piccolo Roberto Bachi insieme al padre Armando, le donne come
Del Vecchio Egle ed Emma e Sinigaglia Angelica. I loro nomi furono incisi nel 1995 in una lapide di marmo con lettere bronzee, oggi ossidate ma non cancellate dal tempo inesorabile, nel Palazzo delle Poste in Piazza Garibaldi. Tutto ciò rappresenta la testimonianza di un profondo dramma sociale che deve essere oggetto di perenne memoria per i cittadini e non di Ravenna.
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MANUELA GUERRA
La sua formazione archeologica acquisita con gli studi universitari le ha permesso di cogliere l’arte nelle sue molteplici forme come creazione unica dello spirito umano. Nel 2005 ha conseguito l’abilitazione come guida turistica per la città di Ravenna. Con il conseguimento dell’abilitazione linguistica alla lingua spagnola nel 2009 ha organizzato tour per gruppi in lingua spagnola; altresì ha realizzato visite guidate legate a varie tematiche inerenti esposizioni temporanee di opere appartenenti a differenti generi artistici del territorio regionale. Recentemente il suo interesse per l’ambiente naturale, ecosistema ricco di biodiversità, le ha permesso di svolgere ricerche nel seguente ambito e l’ha portata a diventare nel 2022 guida ambientale-escursionistica regionale.