11 Apr 2024 11:04 - Cronaca
Gli architetti di Ravenna sulle Torri Hamon: «Chiediamo il rispetto della volontà cittadini»
Se ne era parlato a "La Darsena che vorrei" e successivamente nel POC Darsena. Gli architetti sostengono i ravennati per il recupero di almeno una delle due torri
di Redazione
La voce dell’Ordine degli Architetti di Ravenna si unisce a quella delle molte realtà cittadine che stanno chiedendo un passo indietro rispetto all’abbattimento delle Torri Hamon nell’area della Darsena di Ravenna, esprimendo il proprio rammarico per il fatto che la notizia delle intenzioni di demolizione da parte di ENI, proprietaria dell’impianto, sia emersa solo pochi giorni prima che il cantiere fosse avviato, impedendo quindi una necessaria riflessione pubblica sull’opportunità di agire.
Il consiglio dell’Ordine esprime ad alta voce la richiesta di conservare almeno una delle due Torri Hamon ancora esistenti. Le Torri Hamon possono ancora essere un’emergenza visiva di Ravenna e una testimonianza di valore storico-culturale degli anni dell’industrializzazione e in particolare dello sviluppo dell’industria petrolchimica nel secondo Dopoguerra.
Il percorso partecipato “La Darsena che vorrei”
Come sottolinea la vicepresidente dell’Ordine, Piera Nobili, la questione della rigenerazione, da un lato, e della salvaguardia, dall’altro, non riguarda solo le Torri Hamon, ma l’intero comparto della Darsena che è stato oggetto, negli ultimi decenni, di molte riflessioni e proposte. Queste hanno portato nel 2011 a dare vita al processo partecipato chiamato “La Darsena che vorrei”, condotto dal Comune di Ravenna e dalla cooperativa Villaggio Globale, che coinvolse centinaia di persone, tra cui gli abitanti della cosiddetta Darsena vecchia, e restituì chiare indicazioni di intenti.
«La gente chiedeva uno sviluppo a vocazione pubblica tramite un sistema integrato e cooperante di luoghi e infrastrutture collegate al resto della città, – Precisa Piera Nobili – che potesse dare un nuovo senso e significato all’acqua, alle banchine, agli edifici di archeologia industriale e alle nuove attività lavorative e residenziali. Le indicazioni e gli interventi proposti dai partecipanti guardavano oltre al consueto concetto di città/territorio da consumare, ovvero oltre a uno spazio frazionato e semplicemente reso decoroso grazie ad alberature, fioriture e arredi. Posizione, questa, che esprime il primato della fenomenologia dell’abitare lo spazio-tempo sui paradigmi dell’economia di mercato, ponendo attenzione alla varietà, al divenire di persone e cose, all’appropriazione e riconoscimento delle strutture urbane non come altro da sé (alienazione), ma come ‘misura’ della molteplicità umana».
Gli architetti sottolineano che all’epoca i partecipanti espressero la volontà di un recupero delle archeologie industriali, fra cui le Torri Hamon e tutti quegli edifici che sono simbolo di una Ravenna che si industrializzò a partire dagli anni Cinquanta.
In quella occasione si avanzarono ipotesi di riutilizzo di tali strutture che il PUG, giacente da quasi due anni negli uffici comunali, ha prospettato di recuperare. In particolare, per ciò che è qui d’interesse, prevede di recuperare le torri Hamon connettendole alla pineta Monaldina realizzando una robusta “T”, con ciò preservando e unendo lo spazio naturale alla memoria storica industriale e prefigurando “una grande piazza contemporanea capace di ospitare grandi eventi culturali […] all’aperto, per donare alla città un luogo da sempre ‘ostile’ attraverso un radicale capovolgimento di senso”. Tant’è che l’Ordine, pur presentando nel 2022 diverse osservazioni al Piano Urbanistico Generale, non è intervenuto su questo fronte in quanto ne condivideva appieno la prospettiva indicata.
Se ne era parlato anche nel POC Darsena
Inoltre, come è già stato riferito dagli organi di stampa, anche l’ordine ricorda che nel 2013, all’epoca in cui ancora era aperto il processo partecipato e in relazione al POC Darsena, la Soprintendenza assunse una posizione precisa sulla salvaguardia delle Torri che, sottolineandone la tipicità dello “skyline” e il “valore plastico”, le ritenne adatte a diventare teatro di eventi artistici in connessione con il previsto Parco delle Arti.
«Non si dimentichi – continuano – che la riqualificazione della Darsena fu inserita nel progetto dell’Amministrazione comunale per candidare Ravenna a Capitale europea della Cultura 2019. Nel 2015, assieme alle altre città italiane finaliste, divenne Capitale della Cultura italiana, producendo proprio in Darsena una serie di eventi con lo scopo di innestare la presenza pubblica nel luogo e di prefigurare futuri utilizzi.».
Un luogo per tutti
Complica certo la discussione il fatto che l’intero comparto della Darsena sia di proprietà privata e che il Comune ne possegga solo una piccola porzione. Tuttavia, non si può ignorare che, da quanto sin qui esposto, sia emersa una volontà inequivocabile: i cittadini desiderano che sia recuperata come archeologia industriale una parte di edifici presenti sull’area e inserita in un contesto di attività aperte a tutti (come un Parco verde attrezzato, un Parco delle Arti, spazi per l’Università, ecc.) per creare un sito che funzioni per l’intera comunità e al tempo stesso le consenta di essere viva, in cui innestare anche interventi di natura privata che permettano alle proprietà di avere un equo riscontro.
Un progetto di rigenerazione urbana e sociale da leggere in modo unitario e che, necessariamente, deve avere una regia importante e capace di pilotare scelte politiche lungimiranti (negoziazione dei conflitti e responsabilità delle decisioni), così come è già accaduto in molte città europee in ossequio allora all’Agenda 21 e oggi all’Agenda 2030. L’Ordine degli Architetti ritiene che proprio nell’accordo tra pubblico e privato si possano trovare le soluzioni di miglior utilizzo di un’area in funzione di coloro che la abitano, anche temporaneamente.
«Vogliamo quindi appoggiare la riflessione sulla salvaguardia delle Torri Hamon – concludono – e proporre il consolidamento da parte della proprietà di almeno una delle due torri (data la seconda già in parte demolita), per valutare possibili usi pubblici e privati, tra cui quello proposto dal processo partecipato, dalla Soprintendenza e dal PUG.»