ROMA (ITALPRESS) – Carenza d’acqua, siccità, perdita di ghiacciai, crisi alimentare e produzione di energia a rischio: sono solo alcune delle conseguenze della crisi idrica provocata dagli impatti del cambiamento climatico.
La sete del pianeta è una delle prove più tangibili e drammatiche della crisi climatica globale: tra acqua e clima c’è un legame inscindibile e pericoloso che va conosciuto e affrontato con urgenza. Si prevede che i futuri impatti dei cambiamenti climatici su vari settori dell’economia legati all’acqua ridurranno il prodotto interno lordo (PIL) globale, con perdite maggiori previste nei paesi a basso e medio reddito. I rischi di siccità e inondazioni e i danni sociali aumenteranno con l’aumentare del riscaldamento globale. In occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua (22 marzo) il WWF fotografa la situazione della crisi idrica negli ultimi anni nel suo ultimo report: “L’Ultima goccia. Crisi e soluzioni del prosciugamento climatico” indicando anche le priorità per risolvere il legame pericoloso e inscindibile tra acqua e clima. Il tema verrà ricordato anche in occasione di Earth Hour-Ora della Terra, l’evento globale del WWF che si terrà in tutto il mondo sabato 26 marzo.
Il cambiamento climatico antropogenico ha contribuito ad aumentare la probabilità e la gravità dell’impatto della siccità (specialmente siccità agricola e idrologica) in molte regioni. Circa 4 miliardi di persone, sui 7,8 miliardi di abitanti umani della Terra, sperimentano già una grave carenza d’acqua per almeno un mese all’anno. Tra il 1970 e il 2019, il 7% di tutti gli eventi catastrofici nel mondo sono stati legati alla siccità, ma hanno contribuito a ben il 34% delle morti legate ai disastri. Sempre più persone (circa 700 milioni) sperimentano periodi di siccità più lunghi rispetto al 1950. I rischi di siccità aumenteranno nel corso del XXI secolo in molte regioni, incrementando i rischi per l’intera economia. La popolazione globale esposta a siccità estrema ed eccezionale aumenterà dal 3% all’8% nel 21° secolo.
I fenomeni estremi legati alla crisi climatica provocano anche situazioni improvvise di ‘eccessò d’acqua: tra il 1970 e il 2019, il 31% di tutte le perdite economiche hanno a che fare con le inondazioni.
L’agricoltura è stata influenzata dai cambiamenti del ciclo idrologico. A livello globale, tra il 1983 e il 2009, circa tre quarti delle aree coltivate globali (~454 milioni di ettari) hanno subito perdite di rendimento indotte dalla siccità meteorologica, con perdite di produzione cumulative corrispondenti a 166 miliardi di dollari. Il susseguirsi sempre più frequente di crisi idriche, dovuto in parte ai cambiamenti climatici ma soprattutto alla cattiva e caotica gestione delle acque, evidenzia con sempre maggior urgenza la necessità di rivedere le modalità di uso, gestione e tutela del patrimonio idrico. Anche in aree storicamente ricche d’acqua come la Pianura padana si assiste sempre più frequentemente al problema della scarsità d’acqua.
Non si tratta di un’emergenza nuova perchè è almeno da 50 anni che si moltiplicano gli allarmi in Italia e nel mondo e risulta sempre più incomprensibile la difficoltà ad avviare una gestione sostenibile della risorsa come prevedono le direttive europee e i pressanti richiami ad avviare politiche di adattamento ai cambiamenti climatici.
In Europa almeno un terzo delle risorse idriche è destinato all’agricoltura, che incide sia sulla quantità che sulla qualità dell’acqua disponibile per altri usi. In Italia il settore agricolo assorbe il 60% dell’intera domanda di acqua del Paese, seguito dal settore industriale ed energetico con il 25% e dagli usi civili per il 15%. La scarsità di acqua nasce anche a monte: negli ultimi due decenni, il tasso globale di perdita di massa dei ghiacciai ha superato 0,5 metri di acqua equivalente per anno.
L’impatto della siccità si manifesta anche sull’attuale produzione globale termoelettrica e idroelettrica, con una riduzione dal 4 al 5% dei tassi di utilizzo delle installazioni durante gli anni di siccità rispetto ai valori medi a lungo termine dagli anni ’80. Tra i principali usi dell’acqua c’è la produzione di energia da idroelettrico, che genera una fetta cospicua di energia da fonti rinnovabili, ma che soffre e soffrirà sempre di più per l’estensione dei periodi di siccità. In Italia, la produzione è garantita da 4.509 impianti (dato ufficiale Terna al 31/12/2020); in questi ultimi decenni c’è stato un notevole incremento di impianti, passando dai 2249 del 2009 al quasi raddoppio di questi ultimi anni. Tale aumento considerevole degli impianti è dovuto alla diffusione del cosiddetto mini-idroelettrico, favorito dagli incentivi per la loro installazione. Occorre fare di tutto per far convivere al meglio energia idroelettrica e salute ecologica dei fiumi, cessando di moltiplicare gli impianti in modo insostenibile e assicurando invece il recupero e la buona gestione degli impianti esistenti, con l’armonizzazione delle diverse esigenze dettata e controllata dalle Autorità di Bacino.
L’obiettivo prioritario è quello di raggiungere emissioni nette di CO2 zero entro il 2050 per rispettare l’Accordo di Parigi sul clima. Oltre a una massiccia e rapida decarbonizzazione, vanno spinti i progetti ispirati alle soluzioni basate sulla natura (Nature Based Solutions, NBS) con la protezione, il ripristino e la gestione sostenibile dei serbatoi naturali di carbonio. Questo favorirebbe, ad esempio, la naturale ricarica delle falde in aree agricole o il drenaggio sostenibile in aree urbane o una diffusa rinaturazione degli ecosistemi d’acqua dolce che consenta anche il ripristino dei servizi ecosistemici e l’adattamento ai cambiamenti climatici.
In questo senso il progetto di rinaturazione del Po, nato su proposta del WWF e ANEPLA e adottato dal Ministero della Transizione Ecologica che lo ha inserito nel PNRR, rappresenta il più grande progetto di riqualificazione ambientale e adattamento ai cambiamenti climatici in Italia sul quale sono stati investiti 357 milioni del recovery fund. Un altro fattore essenziale per combattere la crisi idrica indicato dal WWF è la pianificazione a livello di bacino idrografico con il coordinamento di un soggetto unico, l’Autorità di bacino distrettuale, in grado di definire le priorità a scala di bacino. Queste Autorità sono state istituite ma poi marginalizzate con un ruolo subalterno alle Regioni che non garantiscono un’azione omogenea a livello di bacino. Infine, occorre rivedere il sistema di concessioni, assolutamente inadeguato per la situazione attuale, riassegnando le quote di derivazione per l’agricoltura, per l’idroelettrico e per tutti gli altri usi civili, industriali e ambientali (deflusso ecologico) in base a un bilancio idrico di bacino che garantisca un utilizzo sostenibile dell’acqua; per questo è anche necessario incentivare modalità virtuoso di risparmio e di miglior efficientamento della gestione dell’acqua.
E’ necessario umentare la consapevolezza ad un uso sostenibile dell’acqua. Gli italiani ne consumano ancora troppa: sono fra i primi in Europa per il consumo medio quotidiano di acqua. Se pensiamo, infatti, che 50 litri sono il quantitativo minimo vitale giornaliero, certamente potremo ridurre gli attuali circa 230 litri medi al giorno pro capite, facendo più attenzione agli usi e agli sprechi. Le statistiche Istati ci dicono poi che la spesa mensile media delle famiglie italinae è di 14,68 euro per la fornitura di acqua nell’abitazione, e nonostante l’indiscussa qualità della nostra acqua potabile, ammonta ancora a circa 12 euro la spesa mensile per l’acquisto di acqua minerale.
(ITALPRESS).
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