C’è anche Ravenna nell’Italia Revisited #1 del fotografo Massimo Baldini che debutta nell’ex capitale bizantina con una personale alla Fondazione Sabe per l’Arte, aperta al pubblico dal 20 aprile (inaugurazione alle 11) al 30 giugno in via Giovanni Pascoli 31. Andando oltre qualsiasi cliché storico, culturale ed estetico, propone una visione inedita del paesaggio italiano che è stato letteralmente campionato per immagini. La mostra, a cura del professore Claudio Marra, comprende 87 opere, fra cui una decina di gigantografie, caratterizzate da lampi di ironia e magnifiche incongruenze: per esempio, il paralume di una lampada ammicca alla cupola del Brunelleschi, il David di Michelangelo sorveglia uno sportello bancomat, un bronzo di Riace garantisce la segnalazione di TripAdvisor, il decoratore di una pizzeria cita Edvard Munch.
Baldini, inevitabile partire da quello che è a tutti gli effetti un omaggio a Ravenna. Cosa l’ha ispirata?
«Il Cavallo di Mimmo Paladino che si trova, fra l’altro, a pochi metri dalla galleria, nel giardino di fronte alla basilica di Santa Maria in Porto e al museo MAR. Sono rimasto colpito infatti da questa grande scultura, in cotto e dipinta con smalti, che è diventata per i ravennati e i turisti un simbolo identitario. L’ho ritratto in tutta la sua imponenza, quasi in dialogo con la chiesa. Il pubblico non potrà non notarlo visto che si tratta di una delle gigantografie».
Si tratta dell’unico riferimento al territorio ravennate in mostra?
«No. Le foto sono in realtà una decina, ma non sono ‘denunciate’, nel senso che volutamente non ho indicato la località. Conosco bene questa terra perché, anche se ho origini anconetane e vivo a Bologna, ho però il mio studio in una casa di campagna a pochi chilometri da Lugo. Come riconoscerle? Ci sono parti di paesaggio, come lo intendo io, particolari non tradizionali da cui si può intuire qualcosa. Mi piacerebbe che il pubblico potesse scoprirlo con calma durante la visita. Un indizio? C’è, per esempio, una cappella votiva con la statua della Madonna costruita nelle vicinanze di Ravenna, nel cortile di una casa con un grosso tubo di cemento».
Tra le righe, è corretto dire che ci sia anche un riferimento al mosaico?
«Sì. Oltre alle gigantografie che sono come zoom, l’allestimento prevede sulle grandi pareti della galleria una specie di mosaico fotografico, costituito da tante immagini in formato più piccolo. Una scelta non casuale nella città del mosaico. Suggerisco sempre ai visitatori di guardare le fotografie nel loro insieme perché, come nel mosaico, non è la singola tessera che conta».
Anche spaziando nel paesaggio italiano, ritorna spesso l’accostamento del sacro e del profano, così come del naturale e dell’artificiale… Com’è il Belpaese contemporaneo?
«Ho cercato di rappresentare il paesaggio senza censure, veli, romanticismi, la mia non è una visione nostalgica, idealizzata o poetica. Ho fotografato anche cose che normalmente non vengono considerate degne di considerazione, come quelle legate alle attività produttive ed economiche, capannoni e fabbriche; così come elementi che hanno a che fare con l’arte, con la religione, con la storia… Sono tutte disseminate in modo pulviscolare nel territorio. L’Italia di oggi è proprio questo: una inestricabile mescolanza, contaminazione. Questa non è ovviamente una prerogativa del nostro Paese, ma da noi assume un colore particolare, frutto del nostro immenso patrimonio artistico, della forte tradizione religiosa e anche di una microimprenditorialità selvaggia».
Quindi la sua Italia è molto diversa da quella ritratta da Luigi Ghirri e dal gruppo riunitosi attorno a lui nel progetto del “Viaggio in Italia” (1984)?
«Inevitabilmente, visto che sono passati quarant’anni. Ed è proprio prendendo spunto da loro, che ho maturato il mio lavoro. Loro avevano rivoluzionato la fotografia del paesaggio sino a quel momento limitata alle cartoline di piazze, palazzi e monumenti storici. Però ora l’Italia è diversa ancora da quella da loro proposta, che conservava un’idea di ‘poetica’ di paesaggio. Per questo ho pensato che fosse arrivato il momento di fare una seconda rivoluzione».
“Italia Revisited #1”: questo è solo il primo capitolo di un progetto a lungo termine?
«Sì. La mia speranza è di riuscire a farne altri due. D’altra parte il materiale non manca, visto che in dieci anni ho realizzato circa mille foto. Al momento, insieme a Claudio Marra, ne abbiamo selezionate un centinaio, poi vedremo. Visto che non riuscirò a esporle tutte, mi piacerebbe organizzarle come database consultabile online».
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