FOTO. Successo della vernice di “Italia Revisited”. La personale del fotografo Massimo Baldini

La fotografia piace, ancor più se rivoluzionaria e innovativa come quella di Massimo Baldini che nella sua mostra personale d’esordio a Ravenna propone il primo capitolo del suo campionario per immagini “Italia Revisited #1”. Ieri mattina, la vernice alla galleria della Fondazione Sabe per l’Arte è stata ‘salutata’ da numerosi appassionati e cultori d’arte, e anche da un folto gruppo di studenti curiosi di vedere da vicino la più contemporanea delle arti.

«Vedo tanti giovani tra il pubblico e questo fa piacere perché richiama l’importanza del tempo della formazione», afferma Norberto Bezzi, presidente della galleria che è stata aperta nel 2021, insieme alla moglie-artista Mirella Saluzzo, con l’obiettivo di diffondere l’arte contemporanea con un occhio di riguardo per la scultura.

“Italia Revisited”: la seconda mostra dedicata alla fotografia

“Italia Revisited #1” è la seconda mostra del 2024 alla Fondazione Sabe e, nello specifico la seconda di tre mostre consacrate alla fotografia lungo il corso dell’anno. «L’intento è quello di indagare sulla fotografia in rapporto alla scultura e allo spazio – spiega il direttore artistico Pasquale Fameli –. Dopo una prima mostra più formalista che ha avuto per focus la relazione tra foto e natura morta, e in attesa di un’esposizione più concettuale con Federica Muzzarelli sui temi sociali e delle pratiche sociali anche identitarie, ora con Baldini prendiamo invece in considerazione il rapporto tra foto e paesaggio, con un approccio sociologico».

Per il curatore Claudio Marra, la fotografia sa saltare le etichette

Nell’introdurre la mostra, il curatore Claudio Marra ha ricordato che le etichette servono ma a volte possono anche essere limitanti. «La fotografia ‘media’ tra più cose e fa saltare le etichette coinvolgendo prospettive differenti – afferma –. Il lavoro di Baldini ben rappresenta questo concetto di ‘medianità’. Da un lato la fotografia rappresenta ma dall’altro lato presenta. Senza addentrarmi in articolate interpretazioni para-sociologiche, tese a spiegare cosa sia l’Italia contemporanea, cosa sia diventata, come sia cambiata, mi limito a fare qualche riferimento stilistico. Già dal titolo il suo progetto si mette in dialogo e prosegue la storia iniziata 40 anni fa da Luigi Ghirri con una mostra che ha fatto epoca, perché per la prima volta si andava oltre una visione cartolinesca dell’Italia. C’è un punto di continuità: la rappresentazione ma diverso è il linguaggio. Se Ghirri era molto lirico e poetico, per lui le foto erano un atto d’amore; Baldini è invece più asciutto quasi laconico, freddo, la sua è una fotografia che prende la distanza, sospende il giudizio e lo lascia agli spettatori».

Dal punto di vista dell’allestimento, colpisce subito il fatto che le 87 fotografie in mostra non sia incorniciate come pseudo-quadri. Oltre alle dieci gigantografie che invitato a guardare la realtà da un altro punto di vista, ci sono due grandi pareti tappezzate di foto come fossero le tessere di un mosaico o una scultura. L’invito è di guardare le foto insieme, resistendo alla tentazione di avvicinarsi troppo, perché l’intero blocco di foto è un’opera.

I progetti di Massimo Baldini, con un passato nell’editoria

Massimo Baldini, anconetano di nascita e bolognese di adozione, ma con il suo studio in un casolare nella campagna lughese, ha poi raccontato com’è nato il protetto. «Marra mi ha dato i giusti input – ricorda – e soprattutto mi ha suggerito di abbandonare la fotografia in bianco e nero, perché il mondo è ormai a colori. Nel mio modo di fotografare c’è indubbiamente traccia della mia formazione, ho studiato sociologia, e del mio precedente lavoro, per 25 anni nell’editoria. La passione per la fotografia nasce da giovanissimo ma poi l’avevo accantonata. Lasciata la mia precedente carriera, da una decina d’anni mi occupo a tempo pieno di fotografia. In un mio primo progetto, che trae spunto dal libro “Gli italiani” con testi di Claudio Giunta, ho fatto soprattutto ritratti. In questo secondo lavoro, le persone sono scomparse in quanto mi sono cimentato con il paesaggio non solo esterno ma anche interno, per mostrare i cambiamenti dell’Italia. Le foto non hanno titoli, non sono identificabili, e questa scelta può essere vista come una provocazione. Per me è solo un campionario con elementi che si ripetono».

Fondazione Sabe per l’arte

Fondazione Sabe per l’arte nasce nel novembre 2021 con l’obiettivo di promuovere e diffondere l’arte contemporanea – con particolare attenzione alla scultura – nella città di Ravenna attraverso mostre, incontri, proiezioni e altre attività culturali. Presieduta da Norberto Bezzi e da Mirella Saluzzo, si avvale della consulenza di un comitato scientifico coordinato da Francesco Tedeschi, docente di storia dell’arte contemporanea presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, e composto dai professori dell’Università di Bologna Claudio Marra, Federica Muzzarelli, Gian Luca Tusini e Claudio Spadoni, già direttore del Museo d’Arte della città di Ravenna. La direzione artistica è affidata a Pasquale Fameli, critico d’arte e studioso dell’ateneo bolognese. Sita a pochi passi dal MAR – Museo d’Arte di Ravenna, a Fondazione si dedica inoltre alla catalogazione delle opere di Mirella Saluzzo e alla costituzione di una biblioteca specializzata sulla scultura contemporanea.

Lo spazio espositivo, nato nel 2021 quale punto di riferimento per la promozione e la diffusione dell’arte contemporanea, con una particolare attenzione alla scultura, nel 2024 si è aperto alla fotografia esplorando le sue relazioni con la ricerca plastica, il paesaggio e lo spazio, fisico e mentale.

Info

La mostra sarà visitabile dal 20 aprile al 30 giugno alla Fondazione Sabe per l’arte (via Giovanni Pascoli 31, Ravenna). Orari: giovedì, venerdì, sabato e domenica dalle 16 alle 19. Ingresso libero.

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