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Eugenio Sideri, 33 anni di teatro: «Tutto parte dalle parole, è il linguaggio del mio cuore»

Drammaturgo e scrittore, regista e docente di recitazione e storia del teatro, fondatore nel 2001 di Lady Godiva Teatro. Questo è il biglietto da visita di Eugenio Sideri che quest’anno festeggia i primi 33 anni di carriera, vissuti con onestà e serenità, come ama ripetere. Sentirlo parlare significa entrare nel suo mondo e scoprire nuovi mondi, farsi prendere dalla narrazione, conoscere il suo teatro, il suo linguaggio, quello del cuore, capace di arrivare con facilità alle persone.Sideri, fra poco si avvicina la ricorrenza del 25 aprile, a lei cara, visto che da sempre si occupa della Resistenza. Che senso ha oggi il valore della memoria?

«Ricordare questa data è sempre importante per ribadire i valori della Costituzione, della democrazia e della libertà. Ai ragazzi dei miei laboratori dico sempre “Lo so che a casa vi diranno tante robacce sul tema ma non dimenticatevi mai che, se oggi siete liberi di poter dissentire, lo si deve alla democrazia. Anche se è “imperfetta”, come scriveva Pericle, è però perfettibile. E, dunque, abbasso a tutte le forme di nazi-fascismo».Quest’anno, per la prima volta, non sarà direttamente coinvolto in qualche iniziativa…

«Sì, e lo dico con dispiacere. Non siamo stati chiamati dall’amministrazione comunale con cui abbiamo ottimi rapporti. Va detto che, questi due anni di pandemia da Covid-19, così terribili, hanno impedito tanti spettacoli e instillato una certa paura che ancora resiste… Ricordo però con soddisfazione, lo scorso 25 agosto, quando abbiamo celebrato con un evento i caduti del ponte dei Martiri. Per il sesto anno, abbiamo poi rifatto “Kaninchen” viaggio nell’inferno di Dachau che, solo quest’anno, ha registrato 25 repliche».Ricorda il momento in cui, per la prima volta, ha sentito il desiderio di impegnarsi, di dire qualcosa di suo?

«Sì, il 13 marzo 1987, quando 13 lavoratori morirono sul lavoro nella strage della Mecnavi. Uscendo da scuola, vidi una fumata nera che mi colpì. Due giorni dopo, partecipai alla storica manifestazione studentesca di cui è rimasto celebre uno striscione con la scritta “Mai più”. Poi quel qualcosa, di cui non avevo ancora piena consapevolezza, si è concretizzato attraverso la scrittura di poesie e racconti e poi il teatro».Al di là di questa naturale propensione, cos’altro ha influito nell’avvicinarla alle storie partigiane che spesso espone nelle sue opere?

«Senza dubbio, il fatto di essere cresciuto in una famiglia in cui si è sempre parlato di libertà e democrazia e dei valori che le accompagnano, così come dell’importanza delle azioni per portarle avanti. Per me è stata una conseguenza interessarmi alle storie della nostra Resistenza e di quella di tutto il Centro-Nord Italia, dato che con gli spettacoli abbiamo girato tanto, incontrando persone che ci hanno raccontato dei loro nonni… Tante piccole storie per parlare della Storia, quella con la esse maiuscola».[vc_single_image image=”9559″ img_size=”full” add_caption=”yes”]Nel suo avvicinamento al teatro, quali sono stati gli incontri decisivi?

«Quelli con Marco Martinelli del Teatro delle Albe e con Maurizio Lupinelli. Il primo è stato il “maestro dei maestri”, colui che non solo è stato un modello di riferimento ma che mi ha anche lasciato libero di costruire un mio linguaggio. Con il secondo, il rapporto diretto e professionale continua tuttora, tanto che l’ho scelto nel cast dello spettacolo “Calere (Sentieri)” di cui curo testi e regia, in programma al Ravenna Festival 2022. Lui è stato il primo a farmi scoprire la fatica della sala prove, ma anche le soddisfazioni che poi ne derivavano».Le capita mai di pensare cos’altro avrebbe potuto fare nella vita?
«No, ogni giorno mi chiedo invece cosa potrei fare. Sono contento del mio percorso professionale, per cui chiedo solo di poter proseguire con onestà e serenità. Non sono parole retoriche, perché ciò che più conta per me è essere una “brava persona”. Solo così vorrei essere ricordato se morissi domani, e non come un bravo artista e regista. Citando Rainer Maria Rilke e “I racconti del buon Dio”, per l’appunto, chiederei a Dio solo di essere una “brava persona”».Nella nascita della compagnia Lady Godiva, un ruolo decisivo l’ha avuto anche il suo compagno di viaggi di sempre, l’attore Enrico Caravita…
«Sì, è colui con cui condivido tutto, dall’ideazione del lavoro alla scrittura e sino alla fase finale. Lui è sempre il mio primo lettore e critico. Ci legano non solo l’amicizia ma anche una certa idea del teatro. La nostra è una compagnia fatta di persone che ricercano l’impegno civile, come ne sono testimonianza il lavoro “Tantum ergo’, in omaggio alle vittime ravennati della strage di Bologna, l’ultimo lavoro dedicato a Pasolini per il festival, i progetti con le donne…».A proposito di donne, dal 2019 porta avanti il progetto “Le Oltraggiose”, insieme a un gruppo di ragazze tra i 19 e i 30 anni. Può parlare di questa esperienza di teatro al femminile?

«Tutto è nato nel corso di un laboratorio in carcere a cui ha partecipato anche un gruppo di adolescenti. Al termine, sono state proprio queste ragazze a chiedermi di proseguire il percorso. La scelta di chiamarle “oltraggiose” deriva dal fatto che, come tanti giovani, hanno un “respiro” diverso, il “respiro” della tragedia intesa secondo il significato arcaico. Così, desiderano andare oltre e denunciare ciò che si portano dentro per colpa di noi adulti, attraverso il teatro. Nel mio lavoro con loro, sono una specie di catalizzatore di ciò che loro già hanno. Insieme, abbiamo indagato sulla violenza di genere e sulle donne, e sull’ingiusta giustizia, in lavori come “Senza Euridice” in questi giorni al Teatro Rasi, ma anche “Mi chiamo Anna Politkovskaja” e “Materiali per Medea”».Autodefinirsi è sempre complicato, ma come le piace descrivere il suo linguaggio teatrale?

«C’è stata un’evoluzione nel mio cammino. Parto da un teatro che sento e non credo di essere legato a un solo filone: a volte sono più vicino alla narrazione, altre alla poesia scritta in versi o all’impegno civile, ma in estate cambierò ancora, portando al Ravenna Festival uno spettacolo di prosa. È il linguaggio del mio cuore, che ascolta le mie esigenze in un certo momento. Di certo, la parola è un elemento fondante, tutto parte sempre da lì, anche se poi arrivano i corpi, la musica…».[vc_single_image image=”9560″ img_size=”full” add_caption=”yes”]Dopo essersi dedicato per anni a copioni teatrali, a riscritture e a testi ispirati alla storia partigiana, nel 2021, è uscito il suo primo romanzo “Ernesto faceva le case”, pubblicato da Pendragon. Com’è successo?

«Il romanzo è arrivato per così dire da solo, in un corso naturale delle cose. Avevo iniziato a scrivere un testo teatrale che, però, ha preso un’altra forma e l’ho assecondata. Ma c’è molto teatro dentro, scelta che il mio editore ha ritenuto felice».Inevitabile chiederle se sta già scrivendo qualcosa di nuovo e il prossimo progetto più importante…
«Sì, ho già qualcosa nel cassetto, l’idea di un romanzo che però al momento non ho il tempo di scrivere. Tutto questo perché, come ricordato, sono concentrato sul debutto il 10 giugno, in prima nazionale al Ravenna Festival, del mio omaggio a Pier Paolo Pasolini. Essere stato scelto per una coproduzione del festival stesso con NoveTeatro è motivo di grande orgoglio, oltre che un modo meraviglioso di celebrare il traguardo dei miei 33 anni di carriera».Cosa le piace vedere, leggere o ascoltare nel tempo libero?

«Per scelta non ho la tv, ma adoro il cinema di cui sono onnivoro, tranne che per l’horror che mi spaventa. Ogni volta che posso mi riempio gli occhi di arte, andando in giro per mostre. Leggo di tutto ma ho poco tempo. La mia ultima lettura è stata “Il viaggio di Ausonia”, un’opera pregevole di Ilaria Cerioli e Andrea Baravelli. Mi piace tanto anche la musica, spazio dal rock alla classica, e andare a teatro da spettatore».Un’ultima domanda: crede che a Ravenna si possa fare di più per il teatro?

«In tempi in cui tutto ciò che ha a che fare con l’arte, la cultura e lo spettacolo viene tagliato, credo che l’amministrazione ravennate si sia distinta per sensibilità e debba solo proseguire nel valorizzare ciò che ha: gli spazi, le compagnie teatrali, i giovani artisti… Chi dice che a Ravenna non ci sia nulla da fare, forse non è interessato realmente. Ogni giorno ci sono iniziative negli ambiti più diversi, poi certo se uno desidera vedere i Rolling Stone non può aspettarsi che vengano in città. Sul teatro, siamo una città forte e ricca di realtà riconosciute a livello nazionale e internazionale. Siamo una bella comunità di teatro, grazie anche ad attività che coinvolgono i cittadini, come la “Chiamata Pubblica” del Teatro delle Albe. Non molliamo!».

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