Eraldo Baldini, le origini europee di Halloween: «Un tempo magico, di ritorno dei morti»

Secondo il noto scrittore e studioso ravennate: «Bisogna partire dalla consapevolezza che le tradizioni non sono immutabili, né eterne, né fisse in un posto. Hanno la capacità di migrare, di contaminare varie popolazioni e di modificarsi».

Eraldo Baldini ricorda le origini europee di Halloween
Eraldo Baldini

Che Halloween sia una festa misteriosa lo sanno tutti, ma prima ancora che per suoi fantasmi e le sue streghe, lo è per le sue origini che sono europee. Per anni giornalisti e intellettuali hanno discusso se fosse opportuno o meno festeggiare questa ricorrenza considerata “pagana” e “importata dagli Stati Uniti”. Come tutti i misteri, però, anche le origini di Halloween riservano qualche sorpresa.

Per far luce sulla storia di Halloween non si poteva non interpellare Eraldo Baldini, ravennate, ricercatore e studioso del folklore, nonché scrittore dalle ambientazioni gotiche, misteriose, rurali e superstiziose. Eraldo Baldini, insieme a Giuseppe Bellosi (ndr, tra i più noti autori ravennati) nel 2006 ha pubblicato il saggio “Halloween. Nei giorni che i morti ritornano” (Einaudi). Recentemente, il libro è stato ampliato e ripubblicato da “Il Ponte Vecchio” con il titolo “Halloween. Origine, significato e tradizione di una festa antica anche in Italia”.

origini di halloween

Baldini, da dove arriva la festa di Halloween?

«Bisogna partire dalla consapevolezza che le tradizioni non sono immutabili, né eterne, né fisse in un posto. Quindi hanno la capacità di migrare, di contaminare varie popolazioni e di modificarsi nelle forme e a volte anche nei significati con il mutare delle condizioni storiche. Questa festa in particolare è antichissima, forse una delle più antiche d’Europa, presente anche in Italia. Sicuramente è pre-celtica, anche se viene attribuita ai Celti. Loro sicuramente più di ogni altro l’hanno conservata nel tempo, mentre altrove è cambiata o scomparsa».

Ha detto che è una delle feste più antiche d’Europa, però molti credono che arrivi dall’America. Come mai?

«Questa festa si è diffusa in America con le grandi migrazioni di metà dell’Ottocento di popolazioni indoeuropee, quando soprattutto Irlandesi e Scozzesi si sono trasferiti oltreoceano. In questo modo, Halloween ha preso piede ed è diventata molto nota, anche se non è mai stato un giorno festivo. Nel momento in cui questa festa si diffonde in America, in molte parti d’Europa è declinata diversamente, anche sotto la spinta della cristianizzazione, che vi ha sovrapposto Ognissanti e il Giorno dei Morti. Dagli anni ’60 del Novecento in poi si comincia a parlare di Halloween anche in Italia, in un momento in cui se n’era persa memoria. Per questo, molti hanno pensato che fosse una festa americana».

Com’è arrivato Halloween in Italia negli anni Sessanta?

«Il ritorno di Halloween in Italia, con questo nuovo nome – che poi è solo la contrazione di “All Hallows’ Eve”, cioè significa “Vigilia di Tutti i Santi” – passa attraverso alcuni canali. Innanzitutto si comincia a insegnare massicciamente inglese nelle scuole e spesso gli insegnanti portano esempi relativi ad Halloween. Poi un secondo veicolo è la pubblicazione della rivista Linus, dove le vignette americane, come quelle di Shulz (ndr, i Peanuts) presentano questa festa. In italiano, tra l’altro, viene chiamata “Il Grande Cocomero”, confondendo la zucca con il cocomero. Poi piano piano diventa una celebrazione diffusa anche da noi, soprattutto grazie all’elevato gradimento dei bambini, che avevano perso centralità nelle tradizioni della cultura popolare. Con Halloween se ne riappropriano e la trovano particolarmente stimolante per le atmosfere oscure e leggendarie che si porta dietro».

Gli studiosi hanno sempre saputo che non era una festa “americana”?

«Gli antropologi culturali, gli etnografi e gli storici sapevano benissimo che in tutte le regioni italiane c’erano rituali di questo genere: dalle zucche intagliate, alla questua dei bambini, al clima inquietante che si aveva quella sera quando ci si trovava a raccontarsi storie dell’orrore».

Che cos’era dunque Halloween per i nostri antenati?

«Era un capodanno agrario europeo, che cadeva nel momento in cui, finiti tutti i raccolti, si ricominciava con la semina. Ogni festa di capodanno implica l’instaurazione di un tempo magico, che si riteneva aperto al ritorno dei morti per 12 notti, da Halloween a San Martino, 11 novembre. Quindi il ritorno dei morti implica questo contatto con un aldilà con personaggi degli inferi, che vengono impersonati dai bambini che vanno di casa in casa. I morti, rappresentati dai bambini, devono ricevere un’offerta e in cambio manterranno la loro promessa di protezione sui vivi, sulle famiglie e sui campi».

Quindi in qualche modo è una festa religiosa?

«Sì, era una festa religiosa, che non ha niente di satanico; anzi, è un grande esorcismo collettivo contro la dimensione delle tenebre».

Tra i riti di Halloween, in Romagna abbiamo la Piligrèna. Può spiegare che cos’è?

«La Piligrèna è un nome che ha tanti significati. Rappresenta sia la zucca intagliata con il lumino dentro, sia il fuoco fatuo. È un elemento che in realtà si riscontra in molte regioni d’Italia, sotto altro nome, anche in quelle senza dominazione celtica, come Abruzzo, Molise e Puglia. Questo significa che non è solo un elemento culturale celtico, ma qualcosa di molto più ampio e più antico».

origini di halloween

Quali sono i mostri della tradizione romagnola?

«Come ogni popolazione, anche i romagnoli hanno un loro pantheon del fantastico e spesso queste figure nascono per dare un volto e un nome anche agli elementi naturali, non solo soprannaturali. Ad esempio c’è la Borda che è quasi una personificazione della nebbia, del pericolo dell’elemento acquatico. Nelle popolazioni antiche non c’era un confine netto tra naturale e sovrannaturale, c’era una concezione animistica. Tutti gli elementi della natura avevano una sorta di spirito. Sono tantissimi i personaggi: c’erano leggende di draghi, streghe e orchi. Molti elementi non sono prettamente romagnoli, i confini in questo campo non ci sono. Di specificità romagnole ce sono poche, gli stessi elementi si ritrovano con nomi e attribuzioni diversi in molti luoghi europei».

E qual è la sua figura mostruosa del folklore romagnolo preferita?

«Queste figure appartengono molto intensamente a me per due motivi. Io sono nato negli anni Cinquanta in campagna, dove questo mondo folklorico era molto vivo nei racconti dei vecchi. In quella cultura ci sono cresciuto. Poi ho deciso di studiarlo e dedicarmici, quindi faccio fatica a fare scelte in questo senso. Forse quelle che mi danno più suggestione sono le leggende di draghi, perché il paesino dove sono nato e cresciuto – San Pancrazio nel comune di Russi – era oggetto della leggenda di un drago, che veniva raccontata a tutti i bambini. È una leggenda che mi ricordo anche personalmente».

C’è modo secondo lei di trasferire questo immaginario ai bambini di oggi?

«Sicuramente bisognerebbe farlo, per avere consapevolezza di ciò che si fa e si festeggia. In parte dovrebbe essere compito di chi fa ricerca in questi campi e ne scrive, anche scrivendo magari libri per ragazzi. Anche la scuola potrebbe avere un ruolo. Per le famiglie è sempre più difficile, perché i vecchi di quando ero piccolo io erano enciclopedie di questi mondi, mentre oggi non è più così. Per di più oggi è scomparsa nelle ultime generazioni l’espressione linguistica di questa cultura, cioè il dialetto. C’è però una ripresa di elementi folklorici, come i falò di marzo, i Lòm a Merz, che vengono fatti negli agriturismi. Solo che spesso chi vi partecipa non ne conosce il significato: c’è una frattura tra il gesto e il suo significato».

Cambiano le modalità, ma la fascinazione per questa festa misteriosa è viva. Secondo lei a quale bisogno profondo risponde?

«Certamente ha a che fare con la domanda più importante e più antica che l’uomo si sia mai fatto: la morte e la possibilità di trascendenza. Cambierà forma ma rimarrà estremante pregnante del pensiero dell’essere umano. Io credo che anche il fascino per la paura sia connaturato all’uomo. Anche le vecchie fiabe con cui crescevano i bambini secoli fa sono racconti horror. Il racconto della paura in un ambiente protetto prepara poi ad affrontarla nella realtà».

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