«Abbiamo appreso nei giorni scorsi che nel comune di Russi, al confine con quello di Ravenna, a ridosso dell’argine sinistro del fiume Montone, sono iniziati i lavori di realizzazione del cantiere per la costruzione della rete Snam, lotto Sestino-Minerbio, quindi il tratto nord del gasdotto Linea Adriatica. Nel frattempo, anche nel comune di Ravenna, sono state eseguite altre opere di perimetrazione a destra del fiume Montone, in direzione dell’abitato di Roncalceci. Si tratta della costruzione di un’opera controversa, la cui utilità è da più parti messa in dubbio, che suscita diversi interrogativi, rimasti fino ad ora senza risposte», scrive Cgil della provincia di Ravenna.
«Come area sindacale della CGIL – prosegue -, che mette il tema della transizione ecologica fra i punti irrinunciabili della propria attività, sosteniamo che un’opera del genere costituisca un drammatico aggravio della situazione ambientale che resterà per sempre ad impattare il già fragile equilibrio del nostro territorio. Quindi a nostro avviso bisognerebbe avere il coraggio di rimettere in discussione l’intero progetto».
«Va chiarito innanzitutto che tale opera al momento attuale è ferma a Sulmona, dove un’ampia mobilitazione, cui aderiscono la CGIL e anche esponenti dei partiti di centrosinistra, sta contestando la costruzione di una mega-centrale di compressione, senza la cui realizzazione il prosieguo dell’opera non potrà andare avanti. Tale costruzione è oggetto di contestazioni dal momento che insiste in un territorio di notevolissimo pregio naturalistico ed archeologico, nonché ad alto rischio sismico. Pertanto, qualora i lavori nel tratto sud vengano bloccati, non avrebbe alcun senso iniziare le opere di costruzione in un territorio (il nostro) centinaia di chilometri più a nord», spiega Cgil.
«Nei mesi scorsi, in Regione Emilia Romagna un’interrogazione ha ripreso i contenuti del lavoro del Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG), associazione che si occupa degli aspetti legali nelle criticità ambientali, il quale aveva presentato un’istanza al Ministero dell’Ambiente e Sicurezza Energetica e al Ministero della Cultura per sollecitare un provvedimento che dichiari la perdita di efficacia dei decreti che hanno dato giudizio positivo al progetto di gasdotto “Rete Adriatica”».
«I decreti autorizzativi sono vecchi di molti anni, mentre la più recente giurisprudenza afferma che i procedimenti di valutazione d’impatto ambientale (V.I.A.) debbano avere durata quinquennale, anche se emanati prima della riforma del Codice dell’ambiente del 2008. Le autorizzazioni a suo tempo emesse pertanto sono di dubbia validità, tanto è vero che, in risposta all’interrogazione in Consiglio il sottosegretario alla Presidenza ha affermato che si sarebbe dovuta coinvolgere la Conferenza Stato Regioni per una rivalutazione d’insieme della questione».
«Stiamo parlando di un’opera che ha ovunque caratteristiche pesantemente impattanti: una lunghezza complessiva di 687 km (con tubazione di diametro di un metro e venti, a cinque metri di profondità, che decorre in uno spazio di una larghezza di 40 metri, quanto un’autostrada), attraversa dieci regioni, interessa aree di rilevante importanza naturalistica, fra cui tre parchi nazionali, un parco naturale regionale, ventuno siti di importanza comunitaria, ed anche aree a alto rischio sismico e idrogeologico. Dopo l’alluvione del 2023, nella nostra regione sono state censite 80.000 (ottantamila) frane, in buona parte proprio nelle zone dove dovrà passare il gasdotto. Comporterà sia l’abbattimento di svariati milioni di alberi che emissioni climalteranti particolarmente severe».
«Il costo dell’opera è stimato ormai in ben 2,4 miliardi di euro. Se associamo questo dato al fatto che il consumo di gas è in costante calo, a fronte di una capacità complessiva, da parte delle infrastrutture già oggi esistenti, di 100 miliardi di metri cubi all’anno, comprendiamo come il gasdotto e tutte le altre realizzazioni centrate sul gas che oggi vengono promosse saranno opere fortemente sottoutilizzate, che graveranno in maniera ingiustificata sulle nostre bollette».
«Pertanto riteniamo che la richiesta di revisione complessiva dei percorsi autorizzativi sia pienamente giustificata. A parte il fatto che i lavori attualmente in via di cantierizzazione insistono su un’area, che di qui a poco sarà fortemente appesantita dalla chiusura del ponte sul fiume Montone fra San Pancrazio e Ragone, per rifacimento della struttura, e aggiungerà a un forte stato di disagio altri gravi problemi, riteniamo innanzi tutto che si debba appurare se le pratiche amministrative/autorizzative da parte dei Comuni e di ogni altra istituzione coinvolta, ivi comprese la Regione Emilia Romagna e l’Autorità di Bacino, in quanto referenti per la gestione degli ambiti fluviali, siano state espletate correttamente in ogni loro parte, incluso se SNAM abbia comunicato ai Comuni con anticipo l’avvio del cantiere».
«Ed anche se si sia presa in considerazione l’ipotesi di adire ad una nuova Valutazione di Impatto Ambientale unica per l’intera opera, e qualora siano state già espletate le pratiche di indennizzo/esproprio ai titolari delle proprietà interessate, visto che l’opera impatta gravemente e in vari modi l’ambiente per una superficie ben più vasta di quella di pertinenza di alcuni proprietari, come mai non sia in corso una capillare e dettagliata opera d’informazione delle popolazioni, con particolare riferimento ai rischi che l’opera comporta».
«Come area sindacale della Cgil ribadiamo che va rifiutata la visione secondo la quale Ravenna e i Comuni limitrofi, territorio già fortemente provato, debbano essere trasformati in una vera e propria ‘zona di sacrificio’ in favore del solo profitto del mondo estrattivista, e riteniamo che su questi temi si debba promuovere un gigantesco dibattito politico, che coinvolga tutta la popolazione».
«In particolare, crediamo che sia irrimandabile per il sindacato inserire definitivamente la riconversione ecologica dell’economia e dell’intero assetto sociale nelle vertenze sia aziendali che territoriali, e che l’opzione ecologica venga vista come l’asse portante per nuovi orizzonti occupazionali e per il futuro delle nuove generazioni. La richiesta di stabilire una moratoria sulla realizzazione del gasdotto Linea Adriatica è il primo passo da muovere in questa direzione, anche alla luce del quadro energetico complessivo in via di profonda trasformazione», conclude Cgil.
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