Angela Rubino, felice di essere la prima gruista d’Italia. «Un’emozione stare a 30 metri d’altezza»

La 37enne ravennate vanta il primato nel comparto delle rinfuse secche. Assunta al terminal Sapir, ha trovato in questo ruolo la realizzazione professionale. Scherzando dice: «Sono una delle poche donne che può dire tranquillamente di essere pagata come un uomo».

Il porto è sempre stato un ambiente apparentemente non ideale per le donne, anche se qualcuna in questi anni ci ha provato lavorando in magazzino o negli uffici amministrativi. Ma nessuna mai aveva osato tanto: lavorare a 30 metri d’altezza, all’interno di una cabina di comando. La 37enne ravennate Angela Rubino ha fatte cadere i luoghi comuni tutti in una volta ed è diventata la prima donna gruista del porto di Ravenna e la prima in Italia nel comparto delle rinfuse secche. Da circa un anno e mezzo è stata assunta al terminal Sapir, che nel 2023 ha ottenuto la Certificazione della parità di genere.

Angela Rubino, la prima curiosità è: che cosa si prova a vedere il ‘mondo’ così dall’alto?

«Personalmente una grande sensazione di libertà, come non mi era mai capito prima nella vita. Ed è stato questo che ha fatto scoccare la scintilla per questo lavoro. All’inizio ero un po’ intimorita perché, viste da terra, le gru sono davvero enormi. Poi però mi sono trovata a mio agio e ho scoperto che mi piaceva».

Com’è diventata gruista?

«Per caso, quando un anno e mezzo fa ho avuto la felice intuizione di iscrivermi all’Academy promossa da Sapir e Gi Group. Sono riuscita a entrare, unica donna, dopo un paio di colloqui e un test attitudinale. Nei primi mesi di formazione abbiamo preso confidenza con il lavoro al terminal e ci hanno messo alla prova nei vari comparti. Per un po’ ho lavorato in magazzino, ma poi sono stata spostata alle gru come desideravo. Facendo delle prove, insieme ad altri due uomini, sono risultata tra i più abili nel manovrare i comandi delle gru».

Non mi dica però che da bambina sognava di fare la gruista…

«No, non sapevo neanche che esistesse questa possibilità. Ho fatto tanti lavori, dalla commessa alla magazziniera, ho anche gestito un bar all’interno di una scuola. Ma non mi sono mai appassionata, tanto che per svegliarmi alla mattina puntavo ben cinque sveglie. Quante volte mio marito mi ha preso in giro… Sentivo che mi mancava qualcosa, che ero bloccata, non realizzata. Grazie a un’amica a cena, a cui avevo espresso questo stato d’animo, ho presentato domanda al porto. Lei scherzando mi aveva segnalato un annuncio che aveva letto, senza immaginarsi che l’avrei presa sul serio».

Si è sentita tutti gli occhi dei colleghi puntati addosso all’inizio?

«Sì, è inevitabile. Quella che doveva dimostrare qualcosa ero io, e poi si sa quanti stereotipi ci sono sulle donne e le macchine, le tecnologie… Mi sono impegnata al massimo e questo, unitamente a una mia personale attitudine, mi ha consentito di superare la prova, e di guadagnarmi la fiducia passo dopo passo. Il rapporto con i colleghi adesso è ottimo, non mi sono mai trovata così bene».

Che differenze ha notato rispetto a un ambiente di lavoro misto?

«Lavorare con altre donne è più complesso perché ci sono sotterfugi e una certa tendenza a parlare dietro le spalle. Gli uomini, come ripeto spesso, sono più semplici: o si parlano in faccia o fanno a pugni. Con tutti loro ho un rapporto diretto, franco, anche perché siamo chiamati a prendere decisioni in poco tempo. Sanno essere anche molto protettivi, quando per esempio qualche camionista di passaggio resta stupito dal trovarmi lì al porto».

Qualche battuta però se la sarà sentita dire?

«Parecchie in verità. Ma più che da colleghi da uomini che incontro nella vita di tutti i giorni. Uno si è anche permesso di dirmi che dovrei restare a casa a fare i cappelletti. Quindi non dovrei neanche lavorare, figurarsi fare la gruista».

Può spiegare in cosa consiste il suo lavoro?

«Sono quasi sempre sola in cabina per condurre le manovre quando arrivano le navi in porto. Ma un gruista è anche chiamato a decidere in fretta la banchina in cui sistemare la nave, preparare il cantiere prima dell’inizio dello sbarco e a lavare le gru salendo in alto con le piattaforme. Serve un’alta concentrazione, a maggior ragione quando c’è gente in stiva, perché basta una manovra sbagliata per fare danni».

Cosa le piace particolarmente del suo lavoro e cosa invece cambierebbe?

«Come forse si intuisce dal mio entusiasmo, mi piace tutto. Per questo la mattina sono contenta di alzarmi e di affrontare una nuova giornata. Oltre a trovarmi bene con i colleghi e ad amare il lavoro in cabina, trovo particolarmente congeniali i turni, mattutini, pomeridiani e serali. Il mio preferito è quello serale dalle 19 all’1.45 di notte perché mi consente di stare tutto il giorno con i miei figli che hanno 6 e 14 anni. Se proprio devo sforzarmi a trovare un difetto: beh, si sa, il porto non è il luogo più pulito al mondo, così pieno di fango e polvere. Poi si lavora sempre all’aperto, anche d’inverno, ma non mi sono mai ammalata per il momento».

Soddisfatta del suo stipendio?

«Sono una delle poche donne che può dire tranquillamente di essere pagata come un uomo. Battute a parte, va bene, come commessa o in altre mansioni non avrei mai preso la stessa cifra. Quindi lo consiglio vivamente alle altre donne, dicendo loro: andate oltre i vostri limiti, potete fare tutto se ci credete».

Se ha un po’ di tempo libero quando è lassù sulla gru, cosa ama fare?

«Mi godo semplicemente il panorama, sto quasi in contemplazione. E scatto miriadi di foto, soprattutto al tramonto».

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