Andrea Betti: «Vendemmia 2023, produzione in calo del 40% nei territori alluvionati»

Ottobre è il mese in cui si completa la vendemmia un po’ ovunque in Romagna e anche quello in cui, da anni, si celebra “GiovinBacco. Sangiovese in festa”, la grande manifestazione dedicata al vino più conosciuto del territorio. A fare il punto sul settore vitivinicolo, che insieme all’agricoltura nel suo complesso ha vissuto il suo annus horribilis nel 2023, è il presidente di Confagricoltura Ravenna, Andrea Betti.

Entro metà ottobre la vendemmia è terminata: com’è andata quest’anno? 

«Ci sono state luci e ombre, con situazioni molto diversificate all’interno del territorio provinciale. Nel complesso è andata bene a Ravenna e dintorni, nelle zone meno colpite dall’alluvione. La siccità ha però provocato un calo di peso della produzione. In sostanza, c’è meno prodotto rispetto ad altri anni ma di eccellente qualità a livello di gradazione e di acidità. Per contro, in alcune aree collinari del Faentino devastate dal cataclisma di maggio, è andata molto peggio, al punto che si parla di perdite anche del 40%, rispetto al preventivato meno 20%, a causa di attacchi di funghi alle viti».

Ci sono stati territori in cui la vendemmia non c’è proprio stata? 

«Purtroppo, sì. Ma per fortuna si è trattato di una minima parte. In alcuni casi, infatti, il terreno è proprio franato, in altri non era nelle condizioni di poter produrre».

Prima l’alluvione, poi i tornado e infine il grande caldo di ottobre. Quanto incide il cambiamento climatico nel settore? 

«Se ne parla da tempo senza darvi grossa importanza, ossia senza mai correre ai ripari. La verità è che negli ultimi cinque anni, la crisi della vitivinicoltura, così come dell’agricoltura in generale, ha avuto un’accelerata proprio per questo motivo. Non si può ignorarlo».

In concreto, quali rimedi possono essere presi? 

«Bisogna innovare e fare ricerca, pensare a irrobustire le piante da produzione per renderle più resistenti a temperature così elevate e a repentini sbalzi. Così come sono, non ce la possono fare. Servono viti resistenti alla siccità e, in fretta, perché siamo già in ritardo».

Quali altre criticità è necessario affrontare? 

«Quello del calo progressivo del consumo di vino a livello mondiale, in particolare del vino da tavola tradizionale. Anche questo è ormai un dato di fatto a causa soprattutto di massicce campagne restrittive contro il consumo di alcol in generale per scopi salutistici. Va poi considerato che, se si considera il mercato internazionale, ci sono molti Paesi come quelli del Medio Oriente, dove subentrano anche motivi religiosi».

C’è una soluzione anche per questa problematica? 

«Sì, il vino senza alcol. I grandi gruppi come Caviro per il nostro territorio hanno già iniziato a investire in questa direzione, convinti che questo tipo di prodotto potrà guadagnarsi una fetta di mercato».

Non sarebbe meglio rinunciare al vino piuttosto che snaturarlo? 

«Per i puristi del vino, sì. Ma in un mercato vasto e diversificato, c’è spazio per tutto. Chiaramente l’amante del buon vino artigianale made in Italy non scomparirà mai, è un consumatore interessato a prodotti di nicchia, di alta qualità, per cui è anche disposto a spendere di più».

Quale novità c’è poi da rilevare a livello internazionale? 

«Senza dubbio il recente interesse della Cina per il vino. Dopo aver a lungo importato dall’estero, ha deciso di produrre vino per coprire il fabbisogno interno e per conquistare l’intero mercato asiatico».

Come si può contrastare lo strapotere del ‘colosso’ asiatico? 

«Non è facile perché, come un po’ in tutti i settori, in Italia ci sono costi di produzione più alti. Servono investimenti e aggregazioni di marchi riconosciuti per presentarsi uniti sul mercato globale. L’unione fa la forza».

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