In attesa dell’apertura ufficiale della nuova stagione d’arte, il prossimo 5 ottobre con una mostra dedicata al rapporto tra fotografia e femminismo con autrici di varie generazioni dalla collezione Donata Pizzi, la Fondazione Sabe per l’arte di Ravenna, ieri pomeriggio, ha aperto le porte agli appassionati di danza. Dopo la buona riuscita degli scorsi anni, prosegue anche quest’anno infatti la collaborazione con “Ammutinamenti”, il festival di danza urbana e d’autore a cura dell’Associazione Cantieri Danza.
Tanti appassionati di arte e danza hanno gremito le sale di via Pascoli 31, in occasione delle tre repliche – alle 17.30 e alle 18 – dello spettacolo “Daughters” dell’artista Teodora Grano, inserito nella Vetrina della giovane danza d’autore che ogni anno offre ai giovani autori di talento la possibilità di debuttare con un lavoro coreografico originale.
Autrice, performer e ricercatrice, Teodora Grano vive e lavora in Italia anche se ha all’attivo numerose esperienze tra Wroclaw, Berlino e Bruxelles. Ha lavorato senza residenza stabile nel campo del teatro, del circo, della performance e della danza, in formati più o meno ortodossi. Poi ha collaborato con Alessandro Sciarroni e dal 2018 lavora stabilmente per CollettivO CineticO. La sua nuova creazione “Daughters”, presentata anche a Ravenna, ha emozionato gli spettatori perché è una riflessione toccante e delicata sul tema della genitorialità non biologica. Una riflessione che, tra linguaggio coreografico e testo scritto, ha chiamato in causa anche il pubblico e lo ha reso a suo modo protagonista della performance, già a partire dalla location, la galleria della Fondazione Sabe, che lo ingloba e lo induce a confrontarsi con le proprie emozioni.
Teodora Grano si è raccontata tra il gesto e la parola scritta, mentre il ‘tappeto’ sonoro di Massimo Pupillo la accompagna passando dal naturale all’elettronica, sempre in modo delicato. La parola si accompagna al gesto, per diventare coreografia. «Ho una figlia, ma non sono sua madre. E non abbiamo in comune nessuna parte del nostro corredo genetico. Sono io che le somiglio tantissimo. Quando ci chiedono cosa siamo, noi non sappiamo cosa dire. Ci guardiamo. E sorridiamo. Quel sorriso, è una parola segreta». Un sorriso e uno sguardo che servono a riconoscersi, ma che non placano l’esigenza di definizioni normative. Un’esigenza che continua nel movimento, nella ricerca incessante di ciò che manca, della sintesi comunicativa tra corpo e parola.
Dopo la parentesi dedicata alla danza, da ottobre, la Fondazione Sabe tornerà a indagare e ad accostare linguaggi diversi, con la terza mostra del 2024 che avvicina la scultura alla fotografia. Sin dalla sua fondazione, la galleria – aperta da Norberto Bezzi insieme alla moglie-artista Mirella Saluzzo, sta lavorando per diventare un punto di riferimento per la promozione e la diffusione dell’arte contemporanea in città attraverso mostre, incontri, proiezioni e altre attività culturali.
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