Si intitola “Cervia” il nuovo brano che il re dei tormentoni romagnoli Alberto Pazzaglia, bagnino-artista noto come Betobahia, dedica alla città del sale. Un vero e proprio inno alla nota località rivierasca che ben si presta al ballo di gruppo, possibilmente in riva al mare, sotto il sole di ‘un’estate caliente’. Una canzone allegra e divertente che, nella città giardino, è già diventata un ritornello familiare.
La hit – che è già online su tutti i migliori store musicali (Spotify, iTunes, Amazon Music, Instagram e Tik Tok) – mette in musica i valori di una terra che non si stanca mai di stupire e di creare nuove mode e di generare nuove emozioni. Il simpatico video clip della canzone di Cervia è stato girato al bagno Anna, sulla spiaggia di Pinarella, con il supporto di “LF Animazione” e le coreografie di Giovanni Toso. E la clip, appena caricata su YouTube, sta facendo il record di visualizzazioni rimbalzando sui social e riscuotendo numerosi attestati di consensi.
Pazzaglia, come le è venuta l’idea di una canzone in grado di far scoppiare la “Cervia Mania”?
«Anche se sono originario di San Mauro a Mare (Forlì-Cesena), Cervia è una località a cui sono molto affezionato. Ho vissuto, come tanti, la mia giovinezza nelle fantastiche discoteche cervesi e anche mia sorella Donatella è diventata felicemente cervese. Ci sono mille ragioni per amare Cervia, un affetto che ho voluto mettere in musica, scrivendo una canzone-tributo che unisce e che vuole essere un omaggio a un popolo che ha saputo, negli anni, costruire qualcosa di grande».
Qual è a suo avviso il punto di forza di Cervia che sopravvive nel tempo?
«Con la sua cultura marinara, le sue antiche tradizioni e la sua posizione strategica, a metà strada tra Ravenna e Rimini, per me la località è il vero cuore della Romagna. Una meravigliosa industria della vacanza che ha saputo mantenere intatti negli anni i valori più genuini di questa terra».
Lei è anche l’autore del successo “Ciapa la Galeina”, la canzone in dialetto romagnolo più famosa del mondo che ha festeggiato i primi vent’anni…
«Sì. Il cd, contenente 20 brani, è uscito nell’estate 2004. Un successo che è proseguito nel tempo, se si considera che ancora la canzone gira e non solo in Italia, anche nei club vacanza in Egitto, in Brasile o a Cuba. Ormai fa parte dei ‘tormentoni’. Il brano principale, per l’appunto “Ciapa la Galeina” che dà il nome al cd, è stato dichiarato “Patrimonio culturale del dialetto della Regione Emilia Romagna”. Ho ricevuto una targa ad hoc».
Parlando di numeri, la casa discografica Baccano di Savignano sul Rubicone che l’ha editata, dichiara oltre 600 mila copie stampate fra cd originali, compilation e cover. C’è di che essere soddisfatti, non crede?
«Sì. Ma vado oltre ancora… Se tutti quelli che l’hanno suonata e cantata in vent’anni a migliaia, tra disc jockey, concertini in spiagge e hotel, feste di piazza e villaggi turistici, avessero compilato i borderò Siae versandomi i diritti d’autore, quel brano forse avrebbe reso più di 2 milioni di euro. Anche se il mio è un percorso partito molto ‘sotto traccia’, come si suol dire, lontano dalle grandi major, sul ciglio delle strade, sono comunque contento. In quegli anni, il mio cd è stato venduto il triplo di quello di Festivalbar che era il più gettonato».
Come è riuscito a creare i suoi ritornelli in dialetto?
«Come per tutti i nati nel 1967, senza pc e smartphone, era normale parlare in dialetto a tavola con i genitori. Così come era normale scrivere a volte in dialetto e suonare in una band heavy metal o hard rock. Poi, a lungo, il dialetto è stato completamente abbandonato perché visto come volgare e troppo folcloristico. Con la globalizzazione di cui ci si è presto stancati, è tornata la tendenza di valorizzare il territorio e le sue tradizioni. Da parte mia non ho fatto altro che intercettare questo ‘comune sentire’, riutilizzando il mio amato dialetto».
Come mai la sua canzone più famosa ha per protagonista una gallina?
«Anche in questo caso, la risposta è legata alla mia infanzia, agli anni in cui avere una gallina che faceva ogni giorno uova fresche, era considerata una ricchezza. A forza di bere le uova ogni mattina sono diventato Betobahia. Dentro questa canzone, c’è il senso della mia vita»
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