10 Apr 2024 11:40 - Cronaca
Lo sbarco della Life Support a Ravenna con 202 migranti. Tante famiglie con bambini a bordo
La nave di Emergency è arrivata a Ravenna dopo 5 giorni di navigazione. «Difficile la convivenza di così tante persone e bambini in uno spazio ridotto per così tanto tempo». «Al momento del soccorso un ragazzo aveva perso coscienza. Lo abbiamo curato con priorità e si è ripreso»
di Lucia Bonatesta
La prima persona a sbarcare dalla Life Support, nella mattina di mercoledì 10 aprile sulla banchina di Fabbrica Vecchia a Marina di Ravenna, è un bimba riccia e bionda, con gli occhi chiari. Si guarda intorno confusa, avrà al massimo 3 anni. Tiene per mano il padre, dietro la madre con in braccio la sorellina. Seguono altri nuclei familiari con figli dai 2 ai 9 anni: stupisce vedere così tanti bambini affrontare il viaggio. Molti di loro sorridono e salutano. In totale sono 202 i migranti a bordo, arrivati a Ravenna dopo 4 giorni di navigazione, tra cui 18 minori e 15 donne. Un numero decisamente maggiore rispetto ai precedenti 9 sbarchi avvenuti a Ravenna.
Il racconto del soccorso: un ragazzo aveva perso coscienza
Il soccorso da parte di Emergency è avvenuto nella mattina di venerdì 5 aprile, all’interno della zona di ricerca e soccorso libica. «Li abbiamo trovati su due barche sovraffollate – racconta l’operatore Nicola Selvabonino – che erano arrivate nella stessa area, molto vicine, nonostante fossero partite da due porti diversi. Quando li abbiamo raggiunti, nella stiva della barca erano stipate 60 persone. Un ambiente poco ossigenato, buio, con fumi di benzina e impossibilità di muoversi. Un ragazzo aveva perso coscienza, per cui gli abbiamo subito dato priorità; una volta sulla nave si è ripreso».
La convivenza di 202 migranti per 5 giorni sulla nave: «Per i bimbi è stata dura, non c’era lo spazio per giocare»
«Dal punto di vista sanitario, complessivamente i migranti stanno bene – aggiunge Sara Chessa, infermiera di bordo -. Però la convivenza di 202 persone è stata complicata da gestire: 5 giorni sono veramente tanti. Per i bambini lo spazio è ridotto, non possono giocare; per quanto proviamo a intrattenerli non è semplice. Inoltre, a bordo c’era un paziente diabetico, che al momento del soccorso non aveva con sé i farmaci. Abbiamo cercato di stabilizzarlo, ma ha bisogno di essere preso in carico il prima possibile».
Sono circa le 8.05 quando le prime 60 persone scendono dalla nave per essere trasportate al circolo canottieri della Standiana con i pullman della Croce Rossa, dove si terranno i controlli medico sanitari e gli adempimenti di legge.
Al termine dei controlli, le persone saranno divise tra le province dell’Emilia Romagna, con la priorità di mantenere le famiglie unite. «A Ravenna resteranno 17 adulti, che saranno divisi tra i centri cittadini e quelli di Riolo Terme – spiega il prefetto Castrese De Rosa -. Si tratta prevalentemente di siriani. I minori non accompagnati (ndr. 6) questa volta andranno a Bologna». Le persone soccorse provengono da Bangladesh, Egitto, Eritrea, Ghana, Pakistan, Palestina, Siria.
«Per due volte consecutive ci hanno assegnato il porto di Ravenna, il viaggio richiede tempo e il Mediterraneo rimane scoperto»
Non è passato neanche un mese, infatti, dall’ultimo sbarco della Life Support a Ravenna. Era il 21 marzo, aveva a bordo 71 persone e allora restarono in città 4 minori. «Questa è la missione immediatamente successiva a quella di marzo. Per due volte consecutive ci hanno assegnato Ravenna: fare su e giù dal Mediterraneo Centrale richiede tempo», spiega l’Ufficio Stampa della nave. Al momento, peraltro, tra le navi con fermo amministrativo e quelle che sono in viaggio verso i porti del Nord Italia, le zone di soccorso sono completamente scoperte.
Contrario la politica dei ‘porti lontani’ è anche il sindaco di Ravenna, Michele de Pascale: «Continuiamo a contestare la politica di allungare il viaggio. La scelta di tenere le navi lontano dalle zone di salvataggio è molto grave. Noi a questo opponiamo accoglienza e professionalità, sia dalle cooperative del territorio sia dal volontariato. Qui si lavora con la consapevolezza che chi compie questi viaggi ha visto e subito atrocità, noi vogliamo essere un volto amico».
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