Mario Angelo Neve (Campus di Ravenna): «Servono spazi e servizi didattici ma ci vorrebbe la bacchetta magica»

Il Prof Angelo Neve spiega le problematiche del Campus universitario di Ravenna

Mancanza di spazi didattici e di alloggi, necessità di servizi efficienti e di scrollarsi di dosso i limiti dell’online per tornare a essere un luogo di socializzazione. Questi sono alcuni dei nodi da risolvere all’università a Ravenna che vede impegnato in prima linea il professor Mario Angelo Neve, presidente del Campus che resterà in carica fino al 2025.

Dopo anni di crescita, le iscrizioni all’università sono calate in quasi tutte le sedi universitarie dell’Alma Mater, in particolare a Ravenna che quest’anno registra un calo del 15,4% rispetto allo scorso anno accademico. Come se lo spiega?

«Non c’è nulla di sorprendente. Condivido in pieno le valutazioni fatte nei giorni scorsi dal rettore Giovanni Molari, ossia che c’era da aspettarselo dopo i due anni eccezionali della pandemia e visto il ritorno della didattica in presenza. In molti casi, inoltre, si tratta di cali fisiologici, registrati in settori che nell’ultimo periodo avevano visto una grande crescita degli iscritti».

Entrando nello specifico della realtà del Campus ravennate, quali corsi sono andati peggio e quali meglio?

«Le magistrali di Beni archeologici hanno mantenuto più o meno gli stessi iscritti, passando dai 74 del 2019/20 ai 75 di quest’anno. A Biologia marina da 26 sono diventati 45. Analogo discorso per International cooperation dove si è passati dai 66 iscritti del 2019 ai 74 di quest’anno, ma l’anno scorso erano 120. Per contro i numeri delle triennali di Beni culturali sono 216 a gennaio di quest’anno, contro i 271 dell’anno scorso e i 196 del 2019. In molti casi, quindi, i numeri sono sostanzialmente in linea con il pre-pandemia. Ad andare meno bene anche rispetto al pre-pandemia, sono stati invece i corsi di Offshore, mentre Ingegneria sconta il fatto di essere passata da laurea in italiano a internazionale, con necessità di un assestamento». [vc_single_image image=”41719″ img_size=”full”]

Come mai più persone si sono immatricolate durante la pandemia?

«Il motivo è semplice: con i corsi online, si sono iscritti anche quegli studenti che non avrebbero potuto frequentare in presenza».

Considerando che l’Italia si conferma un Paese con un tasso di laureati molto basso, non sarebbe il caso di portare avanti anche i corsi online per studenti lavoratori?

«Sono in molti a richiederlo e certamente, durante la pandemia, siamo stati competitivi con le università online con la differenza che l’università pubblica vale di più e costa di meno. Ma il rischio è di perdere di vista una delle funzioni più importanti dell’università pubblica: essere un luogo in cui la cultura è un elemento di socializzazione e non solo un mezzo per trovare lavoro. L’università non può essere fatta di pendolari che timbrano il cartellino per lezioni ed esami. Per raggiungere tale scopo servono lezioni in presenza, oltre che la possibilità di far vivere la città agli studenti».

E qui si arriva a un secondo nodo: la mancanza di spazi didattici…

«Il Campus ravennate è un po’ indietro rispetto ad altri, questo è un dato di fatto. Il rettore si è impegnato in prima persona nel risolverlo, però serve tempo. Come si sa, anche quando si individua una struttura idonea, poi bisogna prevedere collegamenti. Ci sono diversi progetti in fase di studio ma, ripeto, serve tempo».

La situazione più urgente è correlata al corso di Scienze ambientali. Può ricordarla brevemente?

«Il cantiere nella sede di via Sant’Alberto è purtroppo fermo da mesi. A ottobre dell’anno scorso la ditta impegnata nel cantiere ha abbandonato il campo, ravvisando aumenti delle spese e materiali troppo difficili da reperire. Il problema è che nessuna delle altre ditte in graduatoria ha accettato di portare a termine i lavori perché tutte hanno risposto che, a queste condizioni, è impossibile. Si prospettano quindi tempi lunghi, soprattutto considerando che l’Ateneo dovrà decidersi a effettuare un nuovo investimento, con successivo bando».

Cosa può dire invece del problema alloggi che sembrerebbe ‘dirottare’ molti studenti verso altre città?

«Anche qui, la criticità c’è ma in un momento come questo riguarda tutta l’Italia e anche le famiglie, non solo gli studenti. L’università di per sé non è tenuta a fare operazioni immobiliari. L’alloggio non è un dovere universitario come in Inghilterra dove le università sono per lo più private e hanno rette elevatissime che giustificano maggiori servizi senza per questo garantire però una qualità didattica diversa dalla nostra. Nel nostro caso è qualcosa in più che facciamo per gli studenti e i prezzi non sono di mercato. Nel tempo sono stati aumentati i posti Ergo messi a bando dalla Fondazione Flaminia e dal Comune. Però va detto chiaro: noi non abbiamo le risorse per risolvere tutto».

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Che piano si è dato per i prossimi tre anni di presidenza del Campus?

«Il piano c’era, anzi c’è, ma è rivista ogni settimana perché saltano sempre fuori nuove situazioni. Di questi tempi è molto difficile pianificare, però ci siamo dati due punti fissi da perseguire: spazi e servizi didattici. Servono tempo e pazienza perché tre anni è un arco di tempo in cui si può solo mettere in carreggiata il problema, non risolverlo, anche per via della nota complessità amministrativa e ambientale che ci contraddistingue. Servirebbe una bacchetta magica».

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