Nulla di farsesco o lezioso per La bohème in scena per la Stagione d’Opera del Teatro Alighieri di Ravenna: “è intrisa di uno spirito ironico, disincantato e a tratti anche feroce e impietoso,” sottolinea Cristina Muti, che ne firma la regia, “come se le atmosfere tipiche del Simbolismo ci trascinassero in quelle cupe e claustrofobiche dell’Espressionismo, presaghe dell’orrore del conflitto mondiale che sarebbe seguito di lì a poco”. Venerdì 24 marzo alle 20.30 e domenica 26 alle 15.30, il più amato capolavoro di Puccini torna all’Alighieri nel riallestimento della produzione concepita per la Trilogia d’Autunno di Ravenna Festival 2015. In buca c’è l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, guidata in questo caso da Nicola Paszkowski; le scene virtuali ispirate all’onirica fantasia del pittore Odilon Redon sono opera del visual designer David Loom, del video programmer Davide Broccoli e del lighting designer Vincent Longuemare. Al soprano armeno Juliana Grigoryan, vincitrice del primo premio e del premio del pubblico al concorso Operalia, è affidato il ruolo di Mimì; a Alessandro Scotto di Luzio quello di Rodolfo. Christian Federici, Clemente Antonio Daliotti e Andrea Vittorio De Campo completano il quartetto dei bohémiens, mentre Alessia Pintossi è Musetta. Completano il cast Fabio Baruzzi come Benoît, Graziano Della Valle nei panni di Alcindoro e del sergente dei doganieri e Ivan Merlo in quelli di Parpignol. Corrado Casati guida il Coro Teatro Municipale di Piacenza, mentre Elisabetta Agostini prepara il coro di voci bianche Ludus Vocalis e Scuola Secondaria “Guido Novello” e Mauro Vergimigli è alla testa della Banda Musicale Cittadina di Ravenna.

 

“Sento la solitudine livida e insoddisfatta che attanaglia ogni personaggio – spiega la regista Cristina Muti – E laddove c’è lo scherzo sento il beffardo, dove c’è il farsesco avverto la cattiveria sottile. Dove c’è il pianto sento l’urlo e dove c’è amore intravedo invece incomprensione, mentre dove c’è amicizia sento incomunicabilità. E in questo freddo, in questo ghiaccio che tutto avvolge, vorrei che la poesia, la malinconia, il senso di morte incombente su tutto e su tutti, il mistero sul senso stesso della vita ci convincessero e commuovessero nel profondo.” A segnare questa Bohème è dunque anche il desiderio di affrancarsi dal manierismo che, nel corso della fortunata storia di questi titolo, ne ha sovente caratterizzato gli allestimenti. La preferenza è accordata, piuttosto, a formulare un dramma di incomunicabilità, dove ci si interroga – senza illusioni – sulle ragioni dell’esistenza, sul valore della ricerca artistica, sullo sgretolarsi del sentimento.

 

Nel solco tracciato negli anni dalle regia di Cristina Muti, la produzione combina l’impiego di avanzate tecnologie audio e video al coinvolgimento della nuova generazione di musicisti e cantanti. Il Teatro diventa così un vero e proprio laboratorio: da una parte vi si sperimentano nuovi approcci all’allestimento, sempre più modulare e immateriale e non vincolato a ingombranti scenografie da kolossal, dall’altra si offre una “palestra” a giovani artisti, per i quali l’esperienza all’Alighieri si è spesso rivelata il cruciale primo passo di una luminosa carriera. Le pagine di Puccini si prestano felicemente allo scopo, per quella sua modernità compositiva che ha saputo anticipare molta musica del Novecento nell’assimilare stili europei ed extra-europei.

 

In quest’allestimento fa da controcanto l’immaginazione del pittore Odilon Redon (1840-1916), la cui poetica è stata segnata dall’ammirazione per Baudelaire, Edgar Allan Poe, Goya, ma anche dall’amicizia con Stéphane Mallarmé, André Gide e Paul Gauguin. È nella dimensione del sogno, tanto cara al Simbolismo quanto lo sarà più tardi al Surrealismo, che sbocciano i fiori di Redon: non esemplari botanici ma filamenti di desideri inespressi, corolle che si schiudono come palpebre, esplosioni di colore. Con Redon uno dei soggetti più borghesi della pittura ottocentesca palpita di inaspettata inquietudine e minacciosa vitalità, proprio come quella vie de Bohème che Henri Murger descrisse nel romanzo su cui si basa il libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa.    

 

Questa Bohème è una coproduzione con il Teatro Galli di Rimini, dove andrà in scena il 31 marzo e 2 aprile, e i teatri di Lucca, Ferrara e Pisa che la presenteranno invece nella stagione successiva.

 

La Stagione d’Opera del Teatro Alighieri si conclude il 21 e 23 aprile con Il barbiere di Siviglia: la nuova coproduzione con il Teatro Sociale di Rovigo è un progetto di Fanny & Alexander con Luigi De Angelis alla regia e Giulio Cilona alla guida dell’Orchestra Regionale Filarmonia Veneta.

 

Info e prevendite: Biglietteria Teatro Alighieri – tel. 0544 249244 – www.teatroalighieri.org

Biglietti: da 15 a 45 Euro

Speciale Giovani under 18: 5 Euro, under 30 (platea e palchi): 20 Euro

Con l’app gratuita Lyri sottotitoli e trama del libretto sono disponibili in diretta su smartphone