Il presidente IOR Luca Panzavolta descrive la nuova campagna no profit, “It’s IOR Life”

per generare speranza

“It’s IOR Life”: è la tua vita, dimostra di amarla. L’Istituto Oncologico Romagnolo in questi giorni ha lanciato una grande campagna di comunicazione per sensibilizzare la popolazione sulle varie facce della sua unica missione: la lotta contro il cancro. L’ha fatto con una serie di inserzioni sui giornali e manifesti affissi nelle varie province del territorio dedicati a prevenzione, ricerca, assistenza e volontariato, con l’obiettivo di rimettere al centro i bisogni del paziente oncologico e i programmi di diagnosi precoce, messi in difficoltà dalla recente emergenza sanitaria. Abbiamo chiesto al Presidente dello IOR, Luca Panzavolta, cosa significhi per la no-profit fondata dal prof. Dino Amadori tornare ad esporsi in maniera così capillare con un messaggio così forte.

 

 

È passato poco più di un anno dalla sua nomina di Presidente dell’Istituto Oncologico Romagnolo. Possiamo fare un primo bilancio?

«Il bilancio è estremamente positivo; è stato per me un onore essere chiamato a questo incarico e i mesi di attività svolta insieme ai volontari, al CDA, alle persone tutte di IOR sono stati occasione di condivisione di progetti importanti, di traguardi raggiunti insieme e di un lavoro condiviso per preparare le nuove attività che ci impegneranno per i mesi a venire.»

 

Quali i principali obiettivi raggiunti?

«Abbiamo inaugurato il PRIME Center, dando quindi operatività a una struttura innovativa e unica grazie alla quale potremo concretamente portare un contributo nel campo della prevenzione, riabilitazione ed integrazione in medicina in uno spazio aperto al territorio e alle persone in cui svolgere anche una significativa sensibilizzazione delle giovani generazioni alla lotta contro il cancro. Nei mesi trascorsi sono ripresi molti degli appuntamenti “storici” dello IOR, che è tornato nelle piazze con le volontarie e i volontari per iniziative di informazione e raccolta fondi che il Covid aveva drasticamente ridotto. Abbiamo svolto la nostra assemblea annuale in un clima di progressivo ritorno a una “ritrovata nuova normalità” e ci siamo dati obiettivi di lavoro importanti. Con soddisfazione abbiamo registrato un record delle erogazioni a favore dello IOR che ci daranno un aiuto importante per portare avanti i tanti progetti in cantiere e dare continuità alle varie attività.»

 

Il Covid prima e la crisi internazionale poi sono stati banchi di prova molto complicati per il mondo dell’imprenditoria. Come ha reagito il Terzo Settore?

«È una situazione complessivamente di grande incertezza e difficoltà, che sta mettendo alla prova la tenuta sociale delle nostre comunità. Oggi, sulla rassegnazione, tendono a prevalere sentimenti di esasperazione e rabbia, che portano a esacerbare le conflittualità e alla crescita di un individualismo sempre più marcato. In questo contesto il ruolo del Terzo Settore può giocare una funzione cruciale, per rimettere al centro delle priorità forme di cooperazione e relazioni di solidarietà, di mutualità, di sostegno a chi ne ha bisogno, per problemi economici o per motivi di salute. C’è quindi moltissimo su cui possiamo lavorare, con le persone e a sostegno delle persone.»

 

Questo stato di emergenza prolungata quanto ha influito sulla decisione di uscire con una nuova campagna istituzionale dello IOR? Quali gli obiettivi e cosa c’è dietro alla dicitura “It’s IOR Life”?

«Certamente questi lunghi anni di pandemia, oltre agli effetti diretti del virus, hanno registrato conseguenze importanti dal punto di vista sanitario – sia sull’erogazione dei servizi che sugli interventi chirurgici – ma soprattutto ognuno di noi si è ‘ricordato’ di essere fragile, un sentimento di sé che l’intensità e la frenesia con cui siamo costretti a vivere ci fa spesso dimenticare. Tutti lo abbiamo provato, ma è un peso che ovviamente grava di più su chi non ha forze proprie, su chi è anziano o malato e si deve necessariamente appoggiare ad altri: un senso di impotenza e anche di solitudine che ha come primo effetto quello di erodere la speranza. Per questo abbiamo deciso di uscire pubblicamente, per dire prima di tutto “noi ci siamo”, che anche in questa situazione noi continuiamo a lavorare a fianco dei medici e dei ricercatori per lo sviluppo delle cure contro il cancro e siamo vicini, con i nostri servizi e la nostra compagnia, a ogni malato oncologico.»

 

La campagna è divisa in quattro grafiche che rappresentano le quattro anime dello IOR: assistenza, ricerca, prevenzione e volontariato. Come mai questa scelta?

«Vogliamo generare e alimentare la speranza, una speranza cui ognuno può e deve partecipare. I quattro ‘messaggi’ in cui essa è articolata rappresentano tutti una chiamata a collaborare con chi già è impegnato nella lotta contro il cancro: diventando volontario o sostenendo la ricerca; o anche praticando e diffondendo stili di vita che aiutino a preservare la propria salute. Questo è anche il senso della dicitura “It’s IOR life” che accompagna ogni soluzione grafica. Da una parte, giocando sull’assonanza con l’inglese, si vuole dire che in gioco c’è la ‘tua’ vita, la vita di ognuno di noi; dall’altra, che questo impegno a sostenere chi cura, a essere vicino a chi soffre, a diffondere una cultura della salute è lo scopo dello IOR, la nostra stessa vita. E per l’impegno, e anche per come lo facciamo, possiamo parlare di uno stile IOR ben preciso che non è cambiato nel tempo.»

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